giovedì 2 agosto 2018

6° Campo Scuola di Archeologia Subacquea, Marina di Gioiosa 23 – 27 Luglio 2018




I PROTAGONISTI




Partendo da sinistra, Guerrino da Latisana, Gerardo da Napoli, Camilla figlia di Guerrino, Roberta la nostra istruttrice, Gioele dalla costa tirrenica della Calabria ed, infine, io, Marcello da Roma.



Ma in questo gruppo non può mancare Antonella appassionata tutrice nei laboratori di restauro. 


PREMESSA 


Archeologia e subacquea, due passioni, seguite sempre separatamente. In questo blog vi descriverò, allora,  la bella opportunità avuta di aver potuto congiungere le due discipline in una sola attività, quella, appunto, dell’Archeologia Subacquea.

Avevo iniziato a fare subacquea  nel 1995 con il lontano intento di accumulare punteggio per un eventuale concorso da astronauta e seguire, così,  le orme del mio caro amico Maurizio Cheli, già pienamente addentro a questo innovativo tipo di carriera. Ma ormai prossimo ai 40 anni ho perduto il trenino  e mi è rimasta la passione di andare a sbirciare sott’ acqua  pur senza alcuna seria pretesa.

La passione dell’Archeologia  la ho succhiata ancor prima, con il latte della mamma, nata in Egitto e spesso intenta in letture di scoperte avvenute ai primi del secolo scorso di cui mi parlava con entusiasmo di Carter e delle  Civiltà Sepolte. E da mio padre, sin da ragazzo,  ho appreso la profonda passione verso il mondo romano, contraddistinto dal suo pragmatismo e dalla sua strabiliante capacità costruttiva ed organizzativa.  





E come non essere grato anche alla  cara Zia Pina, docente di Filosofia, all’Università di Burlington, Vermont (USA), anche lei a sussurrarmi nell’orecchio sin da piccolo la ricerca della verità e, con essa, la profondità e la modernità del pensiero greco del V° secolo avanti Cristo.   A tutti loro, curiosi del mondo e della vita,  la mia gratitudine per questi grandi doni che mi hanno trasmesso.


E veniamo a noi. Il 19 agosto  2017  mi sono imbattuto in una puntata di Linea Blu, bella trasmissione che descrive le meraviglie delle nostre coste, durante la quale si parlava della Costa dei Gelsomini  in Calabria.






 Trasmissione nell’ambito della quale si parlava di un Campo Scuola di Archeologia Subabquea.   Contatto il Diving Megale Hellas ma, purtroppo, era troppo tardi. Le iscrizioni si erano già chiuse  a metà giugno ed allora, mi sono tenuto in memoria la questione per l’anno successivo e domenica 22 luglio 2018 eccomi finalmente partire per Marina di Gioiosa Ionica.

Arrivo al Diving Megale Hellas verso le 19 accolto da Roberta che sarà la nostra istruttrice. Scarico il materiale da sub, compilo i  consueti stampati di rito, ed, infine, arrivo al B&B Torre dei Saraceni in una bella stanza, dotata di tutti i confort e  l’indomani mattina cominciamo.




I CONTENUTI DEL CORSO

La figura dell’archeologo la ho sempre immaginata come quella di un avventuriero più che uno scienziato ed il tutto è stato anche alimentato dai documentari seguiti in televisione su Sky o su canali di interesse culturale.  In essi, infatti, il focus è concentrato sull’oggetto finale della ricerca ovvero il ritrovamento di un prezioso tesoro, di una tomba importante, di un relitto famoso. Già, ma come si arriva a questo risultato? Quali sono i processi seguiti? Il dubbio mi è sempre rimasto.  Ebbene il corso seguito, della durata di una settimana,  mi ha dato le conoscenze  per capire i numerosi e complessi  aspetti che sottendono qualunque tipo di ritrovamento. E tali conoscenze sono state una vera scoperta poichè sono andate a collidere con convincimenti spesso errati che, come normale , può avere della materia.

  Il corso, se corso lo vogliamo chiamare (poichè c'è talmente tanto ancora da sapere!),  è composto di lezioni di teoria in mattinata presso il Diving Megale Hellas ed immersioni dalla spiaggia antistante Marina di Gioiosa Ionica. Le sessioni pomeridiane di pratica erano costituite da laboratori di restauro e di visite guidate a siti archeologici “terrestri”. Il tutto è stato curato  dall’Archeologa e Istruttrice Subacquea Roberta Eliodoro e dalla Restauratrice Antonella Ursino.



Le lezioni di teoria


La differenza tra ciò che ipotizziamo e ciò che realmente è l’Archeologia è particolarmente vero se ci soffermiamo sul  concetto di scavo. Viene  spontaneo pensare di utilizzare un potente mezzo per scendere in profondità nel terreno e, quindi, trovare nel  minor tempo più reperti possibile. Ebbene, la realtà è esattamente all’opposto di questo approccio.  Non si scava in verticale ma “per strati di eguali epoche”, ovvero rimuovendo un  po’ per volta ciò che appartiene soltanto ad una specifica tipologia di terreno ovvero contesto fisico che contiene elementi della stessa epoca.  Esso è   individuato da una triade di caratteristiche quali il colore, la consistenza e la composizione. Se mentre si scava un dato terreno  una o più di esse cambia lo scavo va fermato finchè tutto lo strato su cui stavo scavando è stato rimosso. Soltanto in questo modo potrò fruire di tutte le informazioni  relative a quell’ epoca che lo strato in esame sarà in grado di darmi.  Se proseguissi senza questa modalità selettività non sarei più capace di contestualizzare il mio reperto per cui mi ritroverei con una serie di oggetti -  come accadde negli scavi del 1700 - ma  assolutamente sconosciuti sotto il profilo del contesto in cui sono vissuti.  Ovvero sarebbero “cose”senza storia. E l’archeologo, al contrario, cerca la storia per capire e ricostruire il passato tramite la correlazione tra gli indizi che trova. Questo concetto base è valido per qualunque ambito archeologico e, quindi,  anche in Archeologia Subacquea. 
Ecco in figura come potrebbero configurarsi  diverse Unità Stratigrafiche (US) in base alle quali un archeologo procederebbe con il proprio scavo.






1 - pavimentazione attuale;
2 - trincea per la fondazione dell'edificio;
3 - scasso per la posa di una tubatura;
4 - livello di riporto;
5 - livello che chiude la stratificazione nascondendo il muro 16;
6, 7, 8, 9 - la fine dell'uso della struttura 16 (abbandono) determina la formazione di accumuli di terreno ai lati della stessa; nel 7 vi sono abbondanti materiali provenienti dal disfacimento del muro;
10, 11 - piano di calpestio in malta e sua preparazione: è relativo ad un ambiente delimitato dal muro 16;
12 - piano di calpestio esterno;
13 - suolo di cantiere, contemporaneo alla realizzazione del muro;
14, 15 - terreni che hanno colmato da entrambi i lati la fossa di fondazione del muro 16;
16 - muro parzialmente conservato;
17 - buco per la posa di un palo, praticato in un terreno preesistente alla struttura 16;
18, 19 - livello di terreno con residui di combustione: resti di un focolare (?)
20, 21, 22 - depositi terrosi di origine naturale.
Resta inteso che non ci può essere scavo se prima non sono definiti tre punti essenziali:

    -   Fondi necessari per completare il lavoro;
  -  Capacità di trattamento dei materiali per preservarli da       deterioramento una volta recuperati;
    - Una opportuna destinazione in cui poter esporre quanto reperito



Ma come si sviluppa operativamente l’Archeologia Subacquea? Tutto parte da possibili segnalazioni da chi  va per mare ovvero pescatori, bagnanti e subacquei. 


16 agosto 1972: 45 anni fa Stefano Mariottini ritrovava i Bronzi di Riace nei fondali del reggino 


A quel punto la Sovraintendenza incarica Società specializzate ad effettuare le attività  del caso dandone comunicazione al Comando di Guardia Costiera che provvederà alle azioni di propria competenza. Solo allora chi è chiamato ad eseguire gli scavi  può procede con una serie di ricognizioni. Ricognizioni  visive, fotografiche e strumentali  la cui finalità è ovviamente la conferma  della presenza di reperti ovvero  l’individuazione della porzione di fondo di maggior interesse .  Tale fase è estremamente variabile in base alla profondità, temperatura ed  alla visibilità dell’acqua. Può basarsi su una semplice ricognizione con dello snorkeling in superficie per basse profondità sino all’ impiego esclusivo di veicoli e tecniche strumentali da impiegare in ambienti con profondità irraggiungibili, bui, freddi  e con forti correnti.  Una volta individuata l’area  “promettente” sotto il profilo archeologico, essa va individuata con coordinate geografiche (GPS o con rilevamenti angolari da elementi cospicui costieri) in modo da  renderla facilmente raggiungibile  ogniqualvolta occorre recarvisi per le operazioni successive.  Si procede, allora,  delimitando    detta  zona di interesse con dei picchetti detti capisaldi , segnalati, se possibile, in superficie da appositi galleggianti ed  uniti  sott’acqua fra loro in modo da circostanziare esattamente l’area di cantiere. Questa attenta delimitazione subacquea  del perimetro del cantiere consentirà poi la costruzione di una griglia  che costituirà il vero e proprio sistema di riferimento  per permettere di  posizionare correttamente ciascun reperto all’interno dell’ area di scavo.


  
 Naturalmente prima ancora di iniziare a scavare vi  possono essere  dettagliati rilievi fotografici in grado di conservare  le informazioni  cui poter accedere e che potrebbero andare perdute una volta rimosso il fondo con procedure stratigrafiche.   A questo punto si procede con la rimozione dei detriti che coprono i nostri reperti. Rimozione, che, operata con una “sorbona”, ovvero una “aspirapolvere subacquea”, non può che avvenire se non in rigida modalità stratigrafica.




A questo punto,  rimosso, lo strato tipico di detriti di fondo che preclude la vista di reperti appartenenti tutti ad una sola epoca, occorre la creazione di quella quadrettatura fine di cui si parlava poc’anzi.



 

 Questa consentirà il posizionamento esatto di ciascun reperto nell’ambito del cantiere.  Prima di procedere a qualunque forma di recupero, tuttavia, occorre documentare ancora con disegni e foto quanto trovato, sempre in omaggio al  principio che senza documentazione, una volta rimossi i reperti, certe informazioni andrebbero inevitabilmente perse.  Tutti questi rilievi grafici e fotografici andranno quotidianamente ad ingrossare la  raccolta di dati a terra che  consentiranno in ogni momento di poter ricostruire  una informazione eventualmente desiderata in futuro.  Documentare, dunque, durante tutta la fase di scavo è un compito della massima importanza. Al giorno d’oggi, ovviamente,   l’informatica ha reso più rapido il processo di ricostruzione a terra di quanto si è effettuato in acqua, facendo eseguire disegni e calcoli ad applicazioni software. Ma, naturalmente, se misure e rilievi non sono esatti od approssimativi, il disegno risultante è anch’esso approssimativo ed inesatto.  Una volta documentata la Unità Stratigrafica (US) su cui si è lavorato si può procedere con la delicata fase di recupero dei reperti tramite cestelli sollevati con  palloni  di sollevamento gonfiati da aria.  Il carico viene immediatamente curato dalla figura del restauratore (a terra o a bordo di una nave appoggio) che interviene per fermare i processi degenerativi in superficie derivanti dal  contatto dei reperti con l’ossigeno. Una volta fermati detti processi, il reperto torna in mano all’archeologo che ne effettua la datazione e ne contestualizza l’uso e la natura e ne dispone l’eventuale esposizione. Interessante, infine, l’infarinatura ricevuta alla fine del corso sugli aspetti giuridici dell’archeologia subacquea, in grado di orientare verso una  giusta direzione l’ operato qualora  qualcuno si dovesse imbattere in qualche ritrovamento.






Le immersioni


Le immersioni  sono state condotte con entrata da spiaggia nei pressi del Diving ad una profondità didattica di circa 10 metri, in condizioni ottimali di visibilità, corrente e temperatura. Incontrati pure qualche rombo piatto e qualche cavalluccio marino, a riprova della pulizia delle acque. La citata profondità è stata scelta per consentire un tempo di fondo il più lungo possibile e, conseguentemente, dare la possibilità a tutti gli studenti di fare le esperienze nei vari ruoli tipici di un cantiere di scavo. Roberta, la nostra Istruttrice, ha portato sempre con se una Go Pro e questo ha consentito la migliore possibilità per ciascuno di noi di  apprendere dai  propri errori.
La prima immersione è stata dedicata a tecniche di pinneggiamento e galleggiamento particolarmente necessarie quando si opera in vicinanza del fondo che contiene reperti e sedimenti. Un colpo di pinna, una ginocchiata od una manata potrebbero irrimediabilmente  danneggiare un ritrovamento o coprire lo stesso con il sollevamento della sospensione statificatasi lì in secoli.




L’archeologo subacqueo deve avere una particolare abilità a muoversi ed a restare immobile a pochi centimetri dal fondo e…. tra il dire ed il fare, è proprio il caso di dirlo, c’è il mare!




Mi sembrava che nella mia tuta  sia  fosse infilato un dispettoso ramarro, altro che apollinea immobilità!




La seconda immersione è stata dedicata alla ricognizione sul fondo  nuotando parallelamente tra noi, equidistanziati dall’uso di una fettuccia in una teorica zona in cui erano stati segnalati dei ritrovamenti. 


Ciò ci ha consentito di  confermare la presenza dei  reperti  segnalati sul fondo e, quindi, definire con picchetti e nastro,  la conseguente area di maggior interesse.




Uscendo dall’acqua sulla verticale di uno dei caposaldi  abbiamo preso dei riferimenti sulla vicina linea di costa in modo tale da poter ritornare con sicurezza  in quel punto i giorni successivi

Durante la terza immersione poi, sono state prese tutte le misure del perimetro dell’ipotetico cantiere i cui lati erano stati già costruiti con uno specifico  orientamento rispetto al Nord.




e messi i cartellini ai teorici reperti ritrovati sul fondo




Infine, con l’uso della bussola,




si è proceduto con la foto zenitale del reperto con tanto di scala e riferimento al Nord
 


Nella quarta immersione si è effettuato con il posizionamento su uno dei reperti di una griglia con quadrettatura fine.




Avendo opportunamente individuato ciascun vertice di essa con la misurazione di distanze dai capisaldi, ecco che il gioco della restituzione della posizione del reperto è risolto.  Tramite una serie di misurazione di distanze dai capisaldi si riesce a ricostruire la poosizione esatta della griglia nell’ambito del cantiere e, conseguentemente, si riesce ad avere le coordinate geografiche abbastanza esatte del nostro reperto.



  L’esercizio terminava con il disegno su lavagnetta e relativa foto del reperto  inquadrato dalla griglia, ricorrendo ad un   “facile”, si fa per dire,  stazionamento del subacqueo sulla verticale  manufatto.



L’ultima immersione istruzionale è stata dedicata al non facile uso della sorbona sott’acqua. Questo diabolico  oggetto, una volta attivato, diviene  posseduto dal maligno poiché ha messo  a dura prova il già instabile equilibrio di noi allievi.




Si è poi proceduto con il recupero dei reperti ed al completo  smontaggio del cantere.






 






Si, si fa presto a dire smontaggio del cantiere… avete mai visto 70 metri di nastro di plastica fluttuare nell’acqua a caccia di qualcosa su cui impigliarsi? Beh, questo è quello che più o meno abbiamo tentato di fare!

L’ultima immersione, la più bella, il coronamento dell’intero corso, era sul tempio sommerso di Caulonia.




La ho persa perché proprio quel giorno ho avuto il privilegio di partire per essere, con piacere, testimone alle nozze di due amici che si sposavano a Torino proprio quel giorno.





I laboratori di restauro

Una parte essenziale del corso è stata costituita dai laboratori di 
restauro. 
Sono attività indispensabili per capire il lungo, competente e paziente lavoro svolto dal restauratore. 
Il laboratorio era presso il Museo di Locri Epizefiri



Sito poco a sud della città di Locri lungo la costa. Le dimostrazioni, in particolare,  sono state tenute dalla Signora Antonella la quale ci ha accompagnato con grande passione in questo percorso.






 Con grande stupore ed emozione ci vengono affidati dei veri reperti del V° secolo A.C. Si tratta di alcune delle numerose  coppette votive, provenienti dai Templi di Zeus e dal Santuario di Persefone presenti appunto negli scavi di Locri,  intenzionalmente rotte per evitarne il riutilizzo, impilate l’una sull’altra  e gettate in apposite buche nei pressi del Tempio.




 Sotto l’attenta guida della Signora Antonella veniamo istruiti su come lavare dal fango e, soprattutto, come NON maneggiare questi fragili manufatti rinvenuti sottoterra. La prima cosa da fare, dopo aver indossato almeno un paio di guanti sottili,  è  verificare con un cotton fioc appena  inumidito se il pezzo ha ricevuto una buona cottura 2500 anni fa oppure è stato semplicemente seccato al sole. Se così  fosse  l’umidità del cotton fioc deteriorerebbe in modo evidente l’impasto di terracotta. Se ciò non accade significa che la cottura è stata buona ed il pezzo potrà  essere bagnato con acqua distillata con una certa tranquillità ed i residui terrosi rimossi con uno spazzolino o con la lama  di un bisturi.





Naturalmente qualunque residuo significativo trovato all’interno - tipo conchiglie di lumaca, monete od altro – va conservato a parte in quanto elementi che formano un contesto. All’inizio il fango è duro e non va via facilmente, tant’è che le due coppette in figura risultano un unico blocco. Ma, poi, inumidendo gradualmente e con grande pazienza questa massa  con acqua distillata, essa viene via.



Quando si arriva ad un certo punto le coppette vengono lasciate in acqua distillata in soluzione con un germicida per fermare l’attività batterica sul pezzo.




Tutta la classe ha eseguitocon piacere queste operazioni ed ecco il risultato finito. Un oggetto pronto per essere esposto!



Ma cosa succede, quando, molto probabilmente, occorre incollare od integrare un pezzo, magari, già malamente restaurato molto tempo prima?  Questa volta mettiamo le mani su terrecotte di produzione greca e romana.  Prima occorre risolvere il puzzle di mettere assieme i cocci di uno stesso manufatto. Cocci che, quando sono mescolati in una cassetta assieme ad altri cocci non pertinenti, diventa difficile riconoscere




.
Per risolvere questo rompicapo, quello cioè  di riconoscere i pezzi appartenenti alla medesima terracotta,  ci vengono in aiuto alcuni importanti dettagli. Tali sono il bordo che evidenzia il tipo di impasto utilizzato, il colore , lo spessore e l’eventuale  presenza di decorazioni.





Al solito i pezzi vanno puliti, magari anche con alcool per evitare che si inumidiscano, e sui bordi vanno rimossi con acetone eventuali tracce di incollaggi precedenti.  Si procede quindi con l’incollaggio avendo cura di evitare che eccessi di collante debordino sulle superfici esposte del manufatto.






I pezzi sono tenuti in posizione da carta adesiva, da rimuovere appena non più necessaria, e deposti in cassette con sabbia per essere mantenuti nella posizione più adatta in attesa che il collante si secchi.
Ultimo appuntamento con le problematiche del restauro è stato quello con le anfore reperite nel corso di scavi subacquei. E’ incredibile come il mare pulluli di forme di vita. I reperti, infatti, hanno avuto una permanenza in acqua di svariati secoli e tutti gli animaletti pare si siano dati appuntamento per un affollato party su di essi. Conchiglie, concrezioni, perforazioni, pavimentazioni…questi tutti i problemi creati.





In sede di restauro tali concrezioni vengono lasciate poiché risulterebbe dannoso per il reperto tentarne la rimozione.

Si cerca allora di ricomporre il pezzo lasciando inalterati i segni del tempo.  La forma dell’anfora riesce a dare una idea abbastanza precisa dell’epoca e dell’area di provenienza, per cui ci sono dei veri e propri atlanti che descrivono minuziosamente le caratteristiche.





Anche le anfore sono un importante tipo di reperto poiché forniscono cospicue conoscenze in merito agli scambi commerciali ed alle capacità di tecniche navali dell’epoca.
Naturalmente  sia il metallo che il legno hanno dei loro specifici trattamenti di preservazione dall’azione disgregante dell’ossigeno presente in atmosfera, ovvero non appena i reperti sono tratti fuori dall’acqua di mare.
E, fortunatamente, non è mancato qualche momento di “restauro dello spirito” costituito da uno spuntino pomeridiano di stupefacenti melanzane fritte  alla calabrese…di cui mi sono prontamente procurato la ricetta!




Le visite guidate ai siti archeologici


Ulteriore motivo di conoscenza è stato costituito dalle visite guidate a tre Musei. Due di questi collocati nel sito di Locri  ed il terzo  presso Siderno.  Per capire l’infinita ricchezza archeologica di queste terre occorre descriverne brevemente la storia.  Inizialmente abitata da abitanti locali detti Siculi attorno all’età del bronzo ovvero X° secolo A.C. vide il  successivo e graduale arrivo di popolazioni greche attorno al V° secolo A.C. provenienti dalla Locride greca.





Queste popolazioni, giunte per motivi commerciali, si stabilirono condividendo con i Siculi il loro insediamento presso il capo Zefirio di qui il nome di Locride Epizefiri all’epoca della Magna Grecia. Il territorio, fertile e ricco già allora di acqua e foreste appena dietro la linea di costa, consentì un florido sviluppo della città al punto che vi fu la fondazione anche sulla costa tirrenica di  ulteriori siti  greci che oggi corrispondono alle attuali città di  Vibo Valenzia e Rossano.   Man mano che Roma estese il proprio dominio sull’Italia prese possesso di queste colonie greche, lasciando, tuttavia, libertà di culto e di uso della lingua, per cui ancor oggi vi sono comunità in cui il dialetto riflette la lingua greca. La vita fluì tra le costruzioni sulla costa della Locride circa sino al VI° secolo D.C. allorchè, divenuta insicura per le scorrerie saracene, costrinse gli abitanti a rifugiarsi nell’entroterra dell’Aspromonte. E così i siti che una volta avevano vissuto la luce della cultura e dell’arte caddero in oblio, nascondendo sino ai giorni nostri le loro ricchezze. Occorre, infatti, attendere gli esiti della battaglia di Lepanto affinchè la gente ricominci ad affacciarsi, con circospezione, sulla sulla linea di costa.
Di qui la scelta degli addetti ai lavori di suddividere in tre diverse installazioni i reperti sinora ritrovati.


Il Museo Palazzo Nieddu di Siderno, 

infatti,  è prevalentemente orientato su manufatti dell’età del bronzo e contiene reperti attinenti ai Siculi e provenienti da tombe locali.


Le armi e gli ornamenti femminili sono prevalentemente in bronzo, le terrecotte sono realizzate creando il manufatto dall’impasto senza ancora l’uso del tornio.








Tuttavia, non mancano anche reperti greci appartenenti a collezioni private o ritrovamenti avvenuti attorno a Locri durante i recenti lavori di ampliamento della statale 106 che collega Taranto con Reggio Calabria.
Ma il pezzo forte di questo Museo è una sepoltura di una coppia che ha una inedita  particolarità.


L’uomo aveva in bocca un uovo, simbolo di rinascita,  che le sapienti mani di Antonella hanno avuto la pazienza di ricostruire nella sua forma ricorrendo ad anelli finissimi di filo che tengono insieme i detriti del  guscio su un supporto di polistirolo.






Una fantastica granita ai fichi ha, infine, allietato i nostri palati a 

fine visita. Un autentico capolavoro della Locride Moderna!!!




Il Sito ed il Museo di Locri


In questo luogo abbiamo visitato tanto il Museo vero e proprio quanto parte dell’antica città greca. Entrambe le cose insistono nello stesso sito ed afferiscono prevalentemente alla cultura greca.


Il sito, una volta sul mare,  è una grande porzione di terreno, cinta da mura di cui non ci restano che le fondamenta. In vicinanza di quello che una volta era il porto c’è l’antica città caratterizzata da una parte “regolamentata” ed una parte che al giorno d’oggi, definiremo “abusiva”, ovvero con un andamento urbanistico molto meno regolare. I monumenti pubblici principali  visitati in questa occasione sono stati il  Tempio dedicato a Zeus descritto come Tempio Ionico di Marasà,  il  Santuario a Persefone ed, infine, la fornace per la cottura delle terrecotte. Da ciascuno di questi luoghi, e relativi dintorni,  sono stati rinvenuti numerosi reperti di prevalente epoca greca. Proprio quei greci che avevano lasciato la madrepatria ed erano approdati sulle coste calabre in cerca di nuovi sbocchi.   Di tutti questi monumenti, purtroppo, resta poco più delle fondamenta degli edifici, ma è quanto basta a ricostruire con accuratezza epoche, costumi ed usi.





Il mito di Persefone è profondamente connesso ai ritmi della terra. Il racconto vuole che questa fanciulla fosse rapita da Ade, dio dell’oltretomba.



La madre di Persefone, Demetra, disperata per il rapimento della figlia cercò la stessa per nove giorni per l’intero mondo.  Non ritrovandola si vendicò contro gli Dei  che erano stati conniventi con questo rapimento  stabilendo di rendere completamente sterile la terra, impedendo così agli umani ogni  possibilità  di fare dei sacrifici in onore degli Dei. Alla fine Zeus acconsentì ad un rientro di Persefone sulla terra per far ritornare nuovamente fertile il mondo. Tuttavia Ade, con l’inganno, ottenne la possibilità di riavere nell’ oltretomba  ogni sei mesi Persefone presso di sè.  Ecco allora sulla terra sei mesi di fertilità (primavera ed estate) e sei mesi di infertilità (autunno ed inverno). Così  gli antichi spiegavano le stagioni.


Ed allora, è facile immaginare le giovani fanciulle della Magna Grecia che portavano ex voto al santuario di Persefone chiedendo un buon matrimonio, una buona prole. Molti di questi ex voto sono proprio delle eleganti tavolette di terracotta chiamate Pinax che riproducono eventi mitologici o doni di frutti e verdure riprodotti in terracotta.





Già, la terracotta, la “plastica” dell’epoca onnipresente in ogni attività, dalle costruzioni (grondaie, frontoni) alle cose di casa, alle tombe e così via. Ma  quale era il processo di cottura? Ebbene a Locri esistono ancora dei resti di una fornace con tanto di scarti di lavorazione, molto utili alla ricostruzioni delle tecnologie dell’epoca. La struttura era tutta in laterizio e la volta del forno era necessario fosse ricostruita ogniqualvolta venivano estratti i manufatti cotti.

 




Naturalmente gli oggetti visti in questa occasione sono stati molti di più di quelli sinora descritti e sarebbe molto lungo fornirne una descrizione ma ho piacere a farvi partecipi di qualche bel reperto visto.







Il Casino Macrì


Ultimo appuntamento, questa volta con la cultura romana, è stato con il cosiddetto Casino Macrì. Si trova a circa 2 chilometri dal Museo di Locri, distanza  percorribile  solo a piedi  ed all’interno del medesimo comprensorio.


Il  Museo è costituito da tre edifici di epoca ottocentesca  contenenti reperti in  prevalenza  epoca romana e tardoantica.



 Ma la cosa sconvolgente è che tali edifici, la casa patronale, la casa del fattore e la stalla,  poggiano le loro fondamenta su terme romane mai entrate in servizio le quali, a loro volta, si sovrappongono a pre esitenti strutture greche. Ed il tutto è stato riportato alla luce per essere chiaramente visibile.






Ci accompagna nella visita  la nobile Camillia,  giovane fanciulla dell'alta società romana stabilitasi in Calabria nel I° sec D.C.




La visita inizia in un ambiente nel quale  si possono vedere le canalette di scolo della città greca cui si sovrappongono le latrine delle terme romane e la mangiatoie del caseggiato ottocentesco.









Le terme poi svelano i loro segreti.

Ecco l’esempio di un doppio pavimento che caratterizza l’ambiente caldo.



Questo ambiente antico è ancora presente e pienamente visibile al piano terra della casa patronale 





Ed i reperti del Museo sono particolarmente belli








LE ESCURSIONI SERALI

Il tempo per  girare non è stato molto poiché il corso ci ha assorbito parecchio. Tuttavia la sera siamo usciti per cena ed abbiamo fatto gradevoli scoperte.

La prima di esse è stata la scoperta della Ristorante A Squella a Geraci



Locale le cui porzioni sono davvero abbondanti ed il cibo molto buono ed il peperoncino ha sempre fatto bella mostra di sé sulla tavola.




Ma quella sera le sorprese non sono finite. Fatta la cena abbiamo fatto due passi per la città vecchia ed abbiamo trovato un autentico gioiello medioevale a circa 500 metri sul livello del mare e molto vicino alla linea di costa.






Una seconda uscita la abbiamo fatta a cenare “lo stocco” a Mammola


Molto buono il ristorante mentre il paese, meno caratteristico di Gerace, ci ha tirato un simpatico tiro. Non andate in auto nella parte vecchia della città, rischiereste di restare bloccati negli stretti vicoli cosi come stavamo per fare noi!



Un pomeriggio, prima di partire,  sono andato a prendere dei prodotti tipici calabresi a Marina di Gioiosa. E allora vi faccio una domanda. Secondo voi, il peperoncino riportato nella figura sottostante può essere molto forte…?



Alla fine del corso siamo poi uscito insieme con Roberta ed il suo compagno Francesco che ci hanno portato  al  “U’ ricrjiu” un posto molto particolare a Siderno, specializzato in cucina calabra, dove tutto è a chilometro zero.


Anche qui porzioni generose ed, alla fine del pasto, 





il proprietario del locale ha suonato la lira calabrese molto simile ad uno strumento che ho sentito suonare in Iran.




LA LOGISTICA ED I COSTI

Per ottenere informazioni aggiornate e di prima mano guardate il sito http://www.megalehellas.net/ che organizza questo corsi.

Vista la distanza da Torino ho deciso di viaggiare in aereo con un volo che atterra a Lamezia Terme con un’allowance di 20 kg di bagaglio in stiva al seguito.  Altri hanno optato di spedire in anticipo l’attrezzatura presso il Diving usando



Per andare da Lamezia a  Marina di Gioiosa c’è un efficiente servizio di navetta prenotabile tramite il sito http://www.navettaaeroporto.it/ 

  Il noleggio individuale di una macchina può essere un’opzione, ma è non molto efficiente perchè durante il corso la vettura si sfrutterebbe poco. 

La sistemazione logistica ottimale è nel Bed and breakfast


 prenotabile,  con sconto,  attraverso lo stesso Diving, ad appena 10 minuti a piedi dall'aula di lezione e dai ristoranti locali.
Verificate e fate revisionare la vostra attrezzatura da sub prima di partire, inclusiva di pedagno, reel e computer, in modo da partire subito senza difficoltà con le immersioni.
Venite in buone condizioni fisiche poiché l’ingresso e l’uscita dalla spiaggia per le immersioni didattiche comportano l’effettuazione di circa 200 metri e con un certo dislivello. Il tutto con l’attrezzatura addosso. Per chi, come me, ha purtroppo i capelli color della luna ciò ha costituito un certo impegno prima di entrare in acqua.

Come budget generale per l’intera settimana (corso, aereo, navetta, pasti, B&B) mi sono andati via,o, meglio, ho investito,  circa 1300 euro.


CONCLUSIONI

Una gran bella esperienza, un prezioso patrimonio di conoscenze acquisite, il mare pulito, la gente orgogliosa delle proprie radici e consapevole di doverne recuperare il valore. In tutto questo c’è anche da dire che chi si imbarca in una simile attività certamente ha una sensibilità non comune. Ed, infatti, con  i “compagnucci di scuola” ho stretto una bella amicizia.


RINGRAZIAMENTI


Ringraziamo Roberta ed Antonella per l'entusiasmo che ci hanno trasmesso e per la pazienza che hanno avuto nei nostri confronti di curiosi neofiti dell'affascinante mondo dell'Archeologia.


LIBRI  SUGGERITI

















PER  LEGGERE  DI ALTRI VIAGGI


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