I PROTAGONISTI
Partendo da sinistra, Guerrino da Latisana, Gerardo da Napoli, Camilla figlia di Guerrino, Roberta la nostra istruttrice, Gioele dalla costa tirrenica della Calabria ed, infine, io, Marcello da Roma.
Ma in questo gruppo non può mancare Antonella appassionata tutrice nei laboratori di restauro.
PREMESSA
Archeologia e subacquea, due passioni, seguite sempre separatamente. In questo blog vi
descriverò, allora, la bella opportunità
avuta di aver potuto congiungere le due discipline in una sola attività,
quella, appunto, dell’Archeologia Subacquea.
Avevo iniziato a fare subacquea nel 1995 con il lontano intento di accumulare punteggio per un
eventuale concorso da astronauta e seguire, così, le orme del mio caro amico Maurizio Cheli, già
pienamente addentro a questo innovativo tipo di carriera. Ma ormai prossimo ai 40 anni
ho perduto il trenino e mi è rimasta la
passione di andare a sbirciare sott’ acqua pur senza alcuna seria pretesa.
La passione dell’Archeologia la ho succhiata ancor prima, con il latte della mamma, nata in Egitto e spesso intenta in letture di scoperte avvenute ai primi del secolo scorso di cui mi parlava con entusiasmo di Carter e delle Civiltà Sepolte. E da mio padre, sin da ragazzo, ho appreso la profonda passione verso il mondo romano, contraddistinto dal suo pragmatismo e dalla sua strabiliante capacità costruttiva ed organizzativa.
E come non essere
grato anche alla cara Zia Pina, docente di
Filosofia, all’Università di Burlington, Vermont (USA), anche lei a sussurrarmi
nell’orecchio sin da piccolo la ricerca della verità e, con essa, la profondità
e la modernità del pensiero greco del V° secolo avanti Cristo. A tutti loro, curiosi del mondo e della vita, la mia gratitudine per questi
grandi doni che mi hanno trasmesso.
E veniamo a noi. Il 19 agosto 2017 mi sono imbattuto in una puntata di Linea
Blu, bella trasmissione che descrive le meraviglie delle nostre coste, durante
la quale si parlava della Costa dei Gelsomini in Calabria.
Trasmissione nell’ambito della quale si parlava di un Campo Scuola di Archeologia
Subabquea. Contatto il Diving Megale
Hellas ma, purtroppo, era troppo tardi. Le iscrizioni si erano già chiuse a metà giugno ed allora, mi sono tenuto in
memoria la questione per l’anno successivo e domenica 22 luglio 2018 eccomi
finalmente partire per Marina di Gioiosa Ionica.
Arrivo al
Diving Megale Hellas verso le 19 accolto da Roberta che sarà la nostra
istruttrice. Scarico il materiale da sub, compilo i consueti stampati di rito, ed, infine, arrivo
al B&B Torre dei Saraceni in una bella stanza, dotata di tutti i confort e l’indomani mattina cominciamo.
I CONTENUTI DEL CORSO
La figura dell’archeologo la ho sempre immaginata come quella di un avventuriero più che
uno scienziato ed il tutto è stato anche alimentato dai documentari seguiti in
televisione su Sky o su canali di interesse culturale. In essi, infatti, il focus è concentrato sull’oggetto
finale della ricerca ovvero il ritrovamento di un prezioso tesoro, di una tomba
importante, di un relitto famoso. Già, ma come si arriva a questo risultato? Quali
sono i processi seguiti? Il dubbio mi è sempre rimasto. Ebbene il corso seguito, della durata di una
settimana, mi ha dato le conoscenze per capire i numerosi e complessi aspetti che sottendono qualunque tipo di
ritrovamento. E tali conoscenze sono state una vera scoperta poichè sono andate
a collidere con convincimenti spesso errati che, come normale , può avere della
materia.
Il
corso, se corso lo vogliamo chiamare (poichè c'è talmente tanto ancora da sapere!), è
composto di lezioni di teoria in mattinata presso il Diving Megale Hellas ed immersioni dalla spiaggia antistante Marina di Gioiosa Ionica. Le sessioni pomeridiane di pratica erano costituite da laboratori di restauro e di visite guidate a siti
archeologici “terrestri”. Il tutto è stato curato dall’Archeologa e Istruttrice Subacquea Roberta
Eliodoro e dalla Restauratrice Antonella Ursino.
Le lezioni
di teoria
La
differenza tra ciò che ipotizziamo e ciò che realmente è l’Archeologia è particolarmente
vero se ci soffermiamo sul concetto di
scavo. Viene spontaneo pensare di
utilizzare un potente mezzo per scendere in profondità nel terreno e, quindi,
trovare nel minor tempo più reperti
possibile. Ebbene, la realtà è esattamente all’opposto di questo approccio. Non si scava in verticale ma “per strati di
eguali epoche”, ovvero rimuovendo un po’
per volta ciò che appartiene soltanto ad una specifica tipologia di terreno ovvero
contesto fisico che contiene elementi della stessa epoca. Esso è individuato da una triade di caratteristiche
quali il colore, la consistenza e la composizione. Se mentre si scava un dato
terreno una o più di esse cambia lo
scavo va fermato finchè tutto lo strato su cui stavo scavando è stato rimosso.
Soltanto in questo modo potrò fruire di tutte le informazioni relative a quell’ epoca che lo strato in
esame sarà in grado di darmi. Se
proseguissi senza questa modalità selettività non sarei più capace di
contestualizzare il mio reperto per cui mi ritroverei con una serie di oggetti
- come accadde negli scavi del 1700 - ma
assolutamente sconosciuti sotto il
profilo del contesto in cui sono vissuti. Ovvero sarebbero “cose”senza storia. E
l’archeologo, al contrario, cerca la storia per capire e ricostruire il passato
tramite la correlazione tra gli indizi che trova. Questo concetto base è valido
per qualunque ambito archeologico e, quindi, anche in Archeologia Subacquea.
Ecco in
figura come potrebbero configurarsi
diverse Unità Stratigrafiche (US) in base alle quali un archeologo procederebbe
con il proprio scavo.
1 - pavimentazione attuale;
2 - trincea per la fondazione dell'edificio;
3 - scasso per la posa di una tubatura;
4 - livello di riporto;
5 - livello che chiude la stratificazione nascondendo il muro 16;
6, 7, 8, 9 - la fine dell'uso della struttura 16 (abbandono) determina la formazione di accumuli di terreno ai lati della stessa; nel 7 vi sono abbondanti materiali provenienti dal disfacimento del muro;
10, 11 - piano di calpestio in malta e sua preparazione: è relativo ad un ambiente delimitato dal muro 16;
12 - piano di calpestio esterno;
13 - suolo di cantiere, contemporaneo alla realizzazione del muro;
14, 15 - terreni che hanno colmato da entrambi i lati la fossa di fondazione del muro 16;
16 - muro parzialmente conservato;
17 - buco per la posa di un palo, praticato in un terreno preesistente alla struttura 16;
18, 19 - livello di terreno con residui di combustione: resti di un focolare (?)
20, 21, 22 - depositi terrosi di origine naturale.
2 - trincea per la fondazione dell'edificio;
3 - scasso per la posa di una tubatura;
4 - livello di riporto;
5 - livello che chiude la stratificazione nascondendo il muro 16;
6, 7, 8, 9 - la fine dell'uso della struttura 16 (abbandono) determina la formazione di accumuli di terreno ai lati della stessa; nel 7 vi sono abbondanti materiali provenienti dal disfacimento del muro;
10, 11 - piano di calpestio in malta e sua preparazione: è relativo ad un ambiente delimitato dal muro 16;
12 - piano di calpestio esterno;
13 - suolo di cantiere, contemporaneo alla realizzazione del muro;
14, 15 - terreni che hanno colmato da entrambi i lati la fossa di fondazione del muro 16;
16 - muro parzialmente conservato;
17 - buco per la posa di un palo, praticato in un terreno preesistente alla struttura 16;
18, 19 - livello di terreno con residui di combustione: resti di un focolare (?)
20, 21, 22 - depositi terrosi di origine naturale.
Resta inteso
che non ci può essere scavo se prima non sono definiti tre punti essenziali:
- Fondi
necessari per completare il lavoro;
- Capacità
di trattamento dei materiali per preservarli da deterioramento una volta
recuperati;
- Una
opportuna destinazione in cui poter esporre quanto reperito
Ma come si
sviluppa operativamente l’Archeologia Subacquea? Tutto parte da possibili
segnalazioni da chi va per mare ovvero
pescatori, bagnanti e subacquei.
16 agosto 1972: 45 anni fa Stefano Mariottini ritrovava i Bronzi di Riace nei fondali del reggino |
A quel punto la Sovraintendenza incarica Società specializzate ad effettuare le attività del caso dandone comunicazione al Comando di
Guardia Costiera che provvederà alle azioni di propria competenza. Solo allora chi
è chiamato ad eseguire gli scavi può procede
con una serie di ricognizioni. Ricognizioni visive, fotografiche e strumentali la cui finalità è ovviamente la conferma della presenza di reperti ovvero l’individuazione della porzione di fondo di maggior
interesse . Tale fase è estremamente
variabile in base alla profondità, temperatura ed alla visibilità dell’acqua. Può basarsi su
una semplice ricognizione con dello snorkeling in superficie per basse
profondità sino all’ impiego esclusivo di veicoli e tecniche strumentali da
impiegare in ambienti con profondità irraggiungibili, bui, freddi e con forti correnti. Una volta individuata l’area “promettente” sotto il profilo archeologico,
essa va individuata con coordinate geografiche (GPS o con rilevamenti angolari
da elementi cospicui costieri) in modo da
renderla facilmente raggiungibile
ogniqualvolta occorre recarvisi per le operazioni successive. Si procede, allora, delimitando
detta zona di interesse con dei picchetti detti
capisaldi , segnalati, se possibile, in superficie da appositi galleggianti ed uniti
sott’acqua fra loro in modo da circostanziare esattamente l’area di
cantiere. Questa attenta delimitazione subacquea del perimetro del cantiere consentirà poi la
costruzione di una griglia che
costituirà il vero e proprio sistema di riferimento per permettere di posizionare correttamente ciascun reperto all’interno
dell’ area di scavo.
Naturalmente prima ancora di iniziare a
scavare vi possono essere dettagliati rilievi fotografici in grado di
conservare le informazioni cui poter accedere e che potrebbero andare
perdute una volta rimosso il fondo con procedure stratigrafiche. A questo punto si procede con la rimozione
dei detriti che coprono i nostri reperti. Rimozione, che, operata con una
“sorbona”, ovvero una “aspirapolvere subacquea”, non può che avvenire se non in
rigida modalità stratigrafica.
A questo
punto, rimosso, lo strato tipico di
detriti di fondo che preclude la vista di reperti appartenenti tutti ad una
sola epoca, occorre la creazione di quella quadrettatura fine di cui si parlava
poc’anzi.
Questa consentirà il posizionamento esatto di ciascun reperto
nell’ambito del cantiere. Prima di
procedere a qualunque forma di recupero, tuttavia, occorre documentare ancora con
disegni e foto quanto trovato, sempre in omaggio al principio che senza documentazione, una volta rimossi
i reperti, certe informazioni andrebbero inevitabilmente perse. Tutti questi rilievi grafici e fotografici
andranno quotidianamente ad ingrossare la raccolta di dati a terra che consentiranno in ogni momento di poter
ricostruire una informazione
eventualmente desiderata in futuro. Documentare,
dunque, durante tutta la fase di scavo è un compito della massima importanza. Al
giorno d’oggi, ovviamente,
l’informatica ha reso più rapido il processo di ricostruzione a terra di
quanto si è effettuato in acqua, facendo eseguire disegni e calcoli ad
applicazioni software. Ma, naturalmente, se misure e rilievi non sono esatti od
approssimativi, il disegno risultante è anch’esso approssimativo ed inesatto. Una volta documentata la Unità Stratigrafica
(US) su cui si è lavorato si può procedere con la delicata fase di recupero dei
reperti tramite cestelli sollevati con
palloni di sollevamento gonfiati
da aria. Il carico viene immediatamente
curato dalla figura del restauratore (a terra o a bordo di una nave appoggio)
che interviene per fermare i processi degenerativi in superficie derivanti dal contatto dei reperti con l’ossigeno. Una
volta fermati detti processi, il reperto torna in mano all’archeologo che ne
effettua la datazione e ne contestualizza l’uso e la natura e ne dispone
l’eventuale esposizione. Interessante, infine, l’infarinatura ricevuta alla
fine del corso sugli aspetti giuridici dell’archeologia subacquea, in grado di
orientare verso una giusta direzione l’
operato qualora qualcuno si dovesse
imbattere in qualche ritrovamento.
Le
immersioni
Le
immersioni sono state condotte con
entrata da spiaggia nei pressi del Diving ad una profondità didattica di circa
10 metri, in condizioni ottimali di visibilità, corrente e temperatura. Incontrati
pure qualche rombo piatto e qualche cavalluccio marino, a riprova della pulizia
delle acque. La citata profondità è stata scelta per consentire un tempo di
fondo il più lungo possibile e, conseguentemente, dare la possibilità a tutti
gli studenti di fare le esperienze nei vari ruoli tipici di un cantiere di
scavo. Roberta, la nostra Istruttrice, ha portato sempre con se una Go Pro e
questo ha consentito la migliore possibilità per ciascuno di noi di apprendere dai propri errori.
La prima immersione è stata dedicata a tecniche di pinneggiamento e galleggiamento
particolarmente necessarie quando si opera in vicinanza del fondo che contiene reperti
e sedimenti. Un colpo di pinna, una ginocchiata od una manata potrebbero
irrimediabilmente danneggiare un ritrovamento
o coprire lo stesso con il sollevamento della sospensione statificatasi lì in
secoli.
L’archeologo
subacqueo deve avere una particolare abilità a muoversi ed a restare immobile a
pochi centimetri dal fondo e…. tra il dire ed il fare, è proprio il caso di
dirlo, c’è il mare!
Mi sembrava
che nella mia tuta sia fosse infilato un dispettoso ramarro, altro
che apollinea immobilità!
La seconda immersione è stata dedicata alla ricognizione sul fondo nuotando parallelamente tra noi,
equidistanziati dall’uso di una fettuccia in una teorica zona in cui erano
stati segnalati dei ritrovamenti.
Ciò ci ha consentito di confermare la
presenza dei reperti segnalati sul fondo e, quindi, definire con
picchetti e nastro, la conseguente area
di maggior interesse.
Uscendo dall’acqua sulla verticale di uno dei caposaldi
abbiamo preso dei riferimenti sulla vicina linea di costa in modo tale
da poter ritornare con sicurezza in quel
punto i giorni successivi
Durante la terza immersione poi, sono state prese tutte le misure del perimetro dell’ipotetico cantiere i cui lati erano stati già costruiti con uno specifico orientamento rispetto al Nord.
e messi i
cartellini ai teorici reperti ritrovati sul fondo
Infine, con
l’uso della bussola,
si è
proceduto con la foto zenitale del reperto con tanto di scala e riferimento al
Nord
Nella quarta
immersione si è effettuato con il posizionamento su uno dei reperti di una
griglia con quadrettatura fine.
Avendo opportunamente
individuato ciascun vertice di essa con la misurazione di distanze dai
capisaldi, ecco che il gioco della restituzione della posizione del reperto è
risolto. Tramite una serie di misurazione
di distanze dai capisaldi si riesce a ricostruire la poosizione esatta della
griglia nell’ambito del cantiere e, conseguentemente, si riesce ad avere le
coordinate geografiche abbastanza esatte del nostro reperto.
L’esercizio terminava con il disegno su
lavagnetta e relativa foto del reperto
inquadrato dalla griglia, ricorrendo ad un “facile”, si fa per dire, stazionamento del subacqueo sulla verticale manufatto.
L’ultima
immersione istruzionale è stata dedicata al non facile uso della sorbona sott’acqua.
Questo diabolico oggetto, una volta
attivato, diviene posseduto dal maligno poiché ha messo a dura prova il già instabile equilibrio di noi allievi.
Si è poi
proceduto con il recupero dei reperti ed
al completo smontaggio del cantere.
Si, si fa
presto a dire smontaggio del cantiere… avete mai visto 70 metri di nastro di
plastica fluttuare nell’acqua a caccia di qualcosa su cui impigliarsi? Beh,
questo è quello che più o meno abbiamo tentato di fare!
L’ultima immersione, la più bella, il
coronamento dell’intero corso, era sul tempio sommerso di Caulonia.
La ho persa
perché proprio quel giorno ho avuto il privilegio di partire per essere, con piacere,
testimone alle nozze di due amici che si sposavano a Torino proprio quel
giorno.
I laboratori
di restauro
Una parte essenziale del corso è stata costituita dai laboratori di
restauro.
Sono attività indispensabili per capire il lungo, competente e paziente lavoro
svolto dal restauratore.
Il laboratorio era presso il Museo di Locri
Epizefiri
Sito poco a
sud della città di Locri lungo la costa. Le dimostrazioni, in particolare, sono state tenute dalla Signora Antonella la
quale ci ha accompagnato con grande passione in questo percorso.
Con grande stupore ed emozione ci vengono
affidati dei veri reperti del V° secolo A.C. Si tratta di alcune delle numerose
coppette votive, provenienti dai Templi
di Zeus e dal Santuario di Persefone presenti appunto negli scavi di Locri, intenzionalmente rotte per evitarne il
riutilizzo, impilate l’una sull’altra e
gettate in apposite buche nei pressi del Tempio.
Sotto l’attenta guida della Signora Antonella
veniamo istruiti su come lavare dal fango e, soprattutto, come NON maneggiare questi
fragili manufatti rinvenuti sottoterra. La prima cosa da fare, dopo aver
indossato almeno un paio di guanti sottili, è verificare con un cotton fioc appena inumidito se il pezzo ha ricevuto una buona
cottura 2500 anni fa oppure è stato semplicemente seccato al sole. Se così fosse
l’umidità del cotton fioc deteriorerebbe in modo evidente l’impasto di
terracotta. Se ciò non accade significa che la cottura è stata buona ed il
pezzo potrà essere bagnato con acqua
distillata con una certa tranquillità ed i residui terrosi rimossi con uno
spazzolino o con la lama di un bisturi.
Naturalmente qualunque residuo significativo trovato all’interno - tipo conchiglie di
lumaca, monete od altro – va conservato a parte in quanto elementi che formano
un contesto. All’inizio il fango è duro e non va via facilmente, tant’è che le
due coppette in figura risultano un unico blocco. Ma, poi, inumidendo gradualmente
e con grande pazienza questa massa con
acqua distillata, essa viene via.
Quando si
arriva ad un certo punto le coppette vengono lasciate in acqua distillata in
soluzione con un germicida per fermare l’attività batterica sul pezzo.
Tutta la
classe ha eseguitocon piacere queste operazioni ed ecco il risultato finito.
Un oggetto pronto per essere esposto!
Ma cosa
succede, quando, molto probabilmente, occorre incollare od integrare un pezzo,
magari, già malamente restaurato molto tempo prima? Questa volta mettiamo le mani su terrecotte di
produzione greca e romana. Prima occorre
risolvere il puzzle di mettere assieme i cocci di uno stesso manufatto. Cocci
che, quando sono mescolati in una cassetta assieme ad altri cocci non
pertinenti, diventa difficile riconoscere
.
Per
risolvere questo rompicapo, quello cioè di riconoscere i pezzi appartenenti alla
medesima terracotta, ci vengono in aiuto
alcuni importanti dettagli. Tali sono il bordo che evidenzia il tipo di impasto
utilizzato, il colore , lo spessore e l’eventuale presenza di decorazioni.
Al solito i
pezzi vanno puliti, magari anche con alcool per evitare che si inumidiscano, e
sui bordi vanno rimossi con acetone eventuali tracce di incollaggi precedenti. Si procede quindi con l’incollaggio avendo
cura di evitare che eccessi di collante debordino sulle superfici esposte del
manufatto.
I pezzi sono tenuti in posizione da carta adesiva, da rimuovere appena non più necessaria, e
deposti in cassette con sabbia per essere mantenuti nella posizione più adatta
in attesa che il collante si secchi.
Ultimo appuntamento con le problematiche del restauro è stato quello con le anfore
reperite nel corso di scavi subacquei. E’ incredibile come il mare pulluli di
forme di vita. I reperti, infatti, hanno avuto una permanenza in acqua di
svariati secoli e tutti gli animaletti pare si siano dati appuntamento per un
affollato party su di essi. Conchiglie, concrezioni, perforazioni,
pavimentazioni…questi tutti i problemi creati.
In sede di
restauro tali concrezioni vengono lasciate poiché risulterebbe dannoso per il
reperto tentarne la rimozione.
Si cerca allora di ricomporre il pezzo lasciando inalterati i segni del tempo. La forma dell’anfora riesce a dare una idea
abbastanza precisa dell’epoca e dell’area di provenienza, per cui ci sono dei
veri e propri atlanti che descrivono minuziosamente le caratteristiche.
Anche le
anfore sono un importante tipo di reperto poiché forniscono cospicue conoscenze
in merito agli scambi commerciali ed alle capacità di tecniche navali
dell’epoca.
Naturalmente sia il metallo che il legno hanno dei loro
specifici trattamenti di preservazione dall’azione disgregante dell’ossigeno
presente in atmosfera, ovvero non appena i reperti sono tratti fuori dall’acqua
di mare.
E, fortunatamente, non è mancato qualche momento di “restauro dello spirito” costituito da uno
spuntino pomeridiano di stupefacenti melanzane fritte alla calabrese…di cui mi sono prontamente
procurato la ricetta!
Le visite
guidate ai siti archeologici
Ulteriore motivo di conoscenza è stato costituito dalle visite guidate a tre Musei. Due
di questi collocati nel sito di Locri ed
il terzo presso Siderno. Per capire l’infinita ricchezza archeologica
di queste terre occorre descriverne brevemente la storia. Inizialmente abitata da abitanti locali detti
Siculi attorno all’età del bronzo ovvero X° secolo A.C. vide il successivo e graduale arrivo di popolazioni
greche attorno al V° secolo A.C. provenienti dalla Locride greca.
Queste
popolazioni, giunte per motivi commerciali, si stabilirono condividendo con i
Siculi il loro insediamento presso il capo Zefirio di qui il nome di Locride
Epizefiri all’epoca della Magna Grecia. Il territorio, fertile e ricco già
allora di acqua e foreste appena dietro la linea di costa, consentì un florido
sviluppo della città al punto che vi fu la fondazione anche sulla costa
tirrenica di ulteriori siti greci che oggi corrispondono alle attuali
città di Vibo Valenzia e Rossano. Man mano che Roma estese il proprio dominio
sull’Italia prese possesso di queste colonie greche, lasciando, tuttavia,
libertà di culto e di uso della lingua, per cui ancor oggi vi sono comunità in
cui il dialetto riflette la lingua greca. La vita fluì tra le costruzioni sulla
costa della Locride circa sino al VI° secolo D.C. allorchè, divenuta insicura
per le scorrerie saracene, costrinse gli abitanti a rifugiarsi nell’entroterra
dell’Aspromonte. E così i siti che una volta avevano vissuto la luce della
cultura e dell’arte caddero in oblio, nascondendo sino ai giorni nostri le loro
ricchezze. Occorre, infatti, attendere gli esiti della battaglia di Lepanto
affinchè la gente ricominci ad affacciarsi, con circospezione, sulla sulla
linea di costa.
Di qui la
scelta degli addetti ai lavori di suddividere in
tre diverse installazioni i reperti sinora ritrovati.
Il Museo
Palazzo Nieddu di Siderno,
infatti, è prevalentemente orientato su manufatti dell’età del bronzo e contiene reperti
attinenti ai Siculi e provenienti da tombe locali.
Le armi e
gli ornamenti femminili sono prevalentemente in bronzo, le terrecotte sono
realizzate creando il manufatto dall’impasto senza ancora l’uso del tornio.
Tuttavia, non mancano anche reperti greci appartenenti a collezioni private o ritrovamenti
avvenuti attorno a Locri durante i recenti lavori di ampliamento della statale
106 che collega Taranto con Reggio Calabria.
Ma il pezzo
forte di questo Museo è una sepoltura di una coppia che ha una inedita particolarità.
L’uomo aveva in bocca un uovo,
simbolo di rinascita, che le sapienti
mani di Antonella hanno avuto la pazienza di ricostruire nella sua forma
ricorrendo ad anelli finissimi di filo che tengono insieme i detriti del guscio su un supporto di polistirolo.
Una
fantastica granita ai fichi ha, infine, allietato i nostri palati a
fine visita.
Un autentico capolavoro della Locride Moderna!!!
Il Sito ed
il Museo di Locri
In questo luogo abbiamo visitato tanto il Museo vero e proprio quanto parte dell’antica
città greca. Entrambe le cose insistono nello stesso sito ed afferiscono prevalentemente alla cultura greca.
Il sito, una
volta sul mare, è una grande porzione di
terreno, cinta da mura di cui non ci restano che le fondamenta. In vicinanza di
quello che una volta era il porto c’è l’antica città caratterizzata da una
parte “regolamentata” ed una parte che al giorno d’oggi, definiremo “abusiva”,
ovvero con un andamento urbanistico molto meno regolare. I monumenti pubblici
principali visitati in questa occasione sono
stati il Tempio dedicato a Zeus descritto
come Tempio Ionico di Marasà, il Santuario a Persefone ed, infine, la fornace
per la cottura delle terrecotte. Da ciascuno di questi luoghi, e relativi
dintorni, sono stati rinvenuti numerosi
reperti di prevalente epoca greca. Proprio quei greci che avevano lasciato la
madrepatria ed erano approdati sulle coste calabre in cerca di nuovi sbocchi. Di tutti questi monumenti, purtroppo, resta
poco più delle fondamenta degli edifici, ma è quanto basta a ricostruire con
accuratezza epoche, costumi ed usi.
Il mito di
Persefone è profondamente connesso ai ritmi della terra. Il racconto vuole che
questa fanciulla fosse
rapita da Ade, dio dell’oltretomba.
La madre di
Persefone, Demetra, disperata per il rapimento della figlia cercò la stessa per
nove giorni per l’intero mondo. Non
ritrovandola si vendicò contro gli Dei
che erano stati conniventi con questo rapimento stabilendo di rendere completamente sterile
la terra, impedendo così agli umani ogni
possibilità di fare dei sacrifici
in onore degli Dei. Alla fine Zeus acconsentì ad un rientro di Persefone sulla
terra per far ritornare nuovamente fertile il mondo. Tuttavia Ade, con
l’inganno, ottenne la possibilità di riavere nell’ oltretomba ogni sei mesi Persefone presso di sè. Ecco allora sulla terra sei mesi di fertilità
(primavera ed estate) e sei mesi di infertilità (autunno ed inverno). Così gli antichi spiegavano le stagioni.
Ed allora, è
facile immaginare le giovani fanciulle della Magna Grecia che portavano ex voto
al santuario di Persefone chiedendo un buon matrimonio, una buona prole. Molti
di questi ex voto sono proprio delle eleganti tavolette di terracotta chiamate
Pinax che riproducono eventi mitologici o doni di frutti e verdure riprodotti
in terracotta.
Già, la
terracotta, la “plastica” dell’epoca onnipresente in ogni attività, dalle
costruzioni (grondaie, frontoni) alle cose di casa, alle tombe e così via.
Ma quale era il processo di cottura?
Ebbene a Locri esistono ancora dei resti di una fornace con tanto di scarti di
lavorazione, molto utili alla ricostruzioni delle tecnologie dell’epoca. La
struttura era tutta in laterizio e la volta del forno era necessario fosse
ricostruita ogniqualvolta venivano estratti i manufatti cotti.
Naturalmente gli oggetti visti in questa occasione sono stati molti di più di quelli sinora
descritti e sarebbe molto lungo fornirne una descrizione ma ho piacere a farvi
partecipi di qualche bel reperto visto.
Il Casino
Macrì
Ultimo
appuntamento, questa volta con la cultura romana, è stato con il cosiddetto
Casino Macrì. Si trova a circa 2 chilometri dal Museo di Locri, distanza percorribile solo a piedi ed all’interno del medesimo comprensorio.
Il
Museo è costituito da tre edifici di epoca ottocentesca contenenti reperti in prevalenza epoca romana e tardoantica.
Ma la cosa sconvolgente è che tali edifici, la
casa patronale, la casa del fattore e la stalla, poggiano le loro fondamenta su terme romane mai
entrate in servizio le quali, a loro volta, si sovrappongono a pre esitenti strutture
greche. Ed il tutto è stato riportato alla luce per essere chiaramente visibile.
Ci
accompagna nella visita la nobile Camillia, giovane fanciulla dell'alta società romana stabilitasi in Calabria nel I° sec D.C.
La visita
inizia in un ambiente nel quale si
possono vedere le canalette di scolo della città greca cui si sovrappongono le
latrine delle terme romane e la mangiatoie del caseggiato ottocentesco.
Le terme poi
svelano i loro segreti.
Ecco
l’esempio di un doppio pavimento che caratterizza l’ambiente caldo.
Questo ambiente antico è ancora presente e pienamente visibile al piano terra della casa patronale
Ed i reperti
del Museo sono particolarmente belli
LE ESCURSIONI SERALI
Il tempo
per girare non è stato molto poiché il
corso ci ha assorbito parecchio. Tuttavia la sera siamo usciti per cena ed
abbiamo fatto gradevoli scoperte.
La prima di
esse è stata la scoperta della Ristorante A Squella a Geraci
Locale le
cui porzioni sono davvero abbondanti ed il cibo molto buono ed il peperoncino
ha sempre fatto bella mostra di sé sulla tavola.
Ma quella sera le sorprese non sono finite. Fatta la cena abbiamo fatto due passi per la
città vecchia ed abbiamo trovato un autentico gioiello medioevale a circa 500
metri sul livello del mare e molto vicino alla linea di costa.
Una seconda
uscita la abbiamo fatta a cenare “lo stocco” a Mammola
Molto buono
il ristorante mentre il paese, meno caratteristico di Gerace, ci ha tirato un
simpatico tiro. Non andate in auto nella parte vecchia della città, rischiereste di
restare bloccati negli stretti vicoli cosi come stavamo per fare noi!
Un pomeriggio,
prima di partire, sono andato a prendere
dei prodotti tipici calabresi a Marina di Gioiosa. E allora vi faccio una
domanda. Secondo voi, il peperoncino riportato nella figura sottostante può
essere molto forte…?
Alla fine del corso siamo poi uscito insieme con Roberta ed il suo compagno Francesco che
ci hanno portato al “U’ ricrjiu” un posto molto particolare a
Siderno, specializzato in cucina calabra, dove tutto è a chilometro zero.
Anche
qui porzioni generose ed, alla fine del pasto,
il proprietario del locale ha suonato la lira calabrese molto simile ad uno strumento che ho sentito suonare in Iran.
il proprietario del locale ha suonato la lira calabrese molto simile ad uno strumento che ho sentito suonare in Iran.
LA LOGISTICA ED I COSTI
Per ottenere
informazioni aggiornate e di prima mano guardate il sito http://www.megalehellas.net/
che organizza questo corsi.
Vista la
distanza da Torino ho deciso di viaggiare in aereo con un volo che atterra a
Lamezia Terme con un’allowance di 20 kg di bagaglio in stiva al seguito. Altri hanno optato di spedire in anticipo
l’attrezzatura presso il Diving usando
Per andare
da Lamezia a Marina di Gioiosa c’è un efficiente
servizio di navetta prenotabile tramite il sito http://www.navettaaeroporto.it/
Il noleggio individuale di una macchina può essere
un’opzione, ma è non molto efficiente perchè durante il corso la vettura si sfrutterebbe poco.
La
sistemazione logistica ottimale è nel Bed and breakfast
prenotabile, con sconto, attraverso lo
stesso Diving, ad appena 10 minuti a piedi dall'aula di lezione e dai ristoranti locali.
Verificate e
fate revisionare la vostra attrezzatura da sub prima di partire, inclusiva di
pedagno, reel e computer, in modo da partire subito senza difficoltà con le immersioni.
Venite in
buone condizioni fisiche poiché l’ingresso e l’uscita dalla spiaggia per le
immersioni didattiche comportano l’effettuazione di circa 200 metri e con un
certo dislivello. Il tutto con l’attrezzatura addosso. Per chi, come me, ha purtroppo i
capelli color della luna ciò ha costituito un certo impegno prima di entrare in acqua.
Come budget
generale per l’intera settimana (corso, aereo, navetta, pasti, B&B) mi sono
andati via,o, meglio, ho investito, circa 1300 euro.
CONCLUSIONI
Una gran
bella esperienza, un prezioso patrimonio di conoscenze acquisite, il mare pulito, la gente orgogliosa delle proprie radici e consapevole
di doverne recuperare il valore. In tutto questo c’è anche da dire che chi si
imbarca in una simile attività certamente ha una sensibilità non comune. Ed,
infatti, con i “compagnucci di scuola”
ho stretto una bella amicizia.
RINGRAZIAMENTI
Ringraziamo Roberta ed Antonella per l'entusiasmo che ci hanno trasmesso e per la pazienza che hanno avuto nei nostri confronti di curiosi neofiti dell'affascinante mondo dell'Archeologia.
LIBRI SUGGERITI
PER LEGGERE DI ALTRI VIAGGI
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