giovedì 16 gennaio 2020

CARNEVALE IN SARDEGNA FEBBRAIO 2016


CARNEVALE 2016 IN SARDEGNA














Carnevale 2016 in Sardegna
Le ragioni del viaggio


La base di Decimomannu, non lontana da Cagliari,  è molto conosciuta in ambito Aeronautica Militare.



In Sardegna, infatti, i Reparti Operativi fanno il loro addestramento operativo presso i poligoni di tiro di Capo Frasca (R 59)  e Teulada (R46)sui quali qualunque Navigante di Forza Armata ha scritto le sue pagine di gloria.









L’Isola, inoltre, mi ha visto suo assiduo frequentatore per lunghi anni quale utente della D 40 ad Ovest, della D 122 a Sud  e delle grandi zone ad Est gestite dal Poligono di Salto di Quirra




Frequenza dovuta alla lunga campagna di aggiornamento di mezza vita del velivolo Tornado iniziata  con il Reparto Sperimentale Volo e seguito poi nell’ambito di un’ industria aeronautica nazionale. Esperienza, quest’ultima,  che ricordo fondamentalmente per due motivi: il primo è di poter avuto la possibilità di volare su velivoli da combattimento sino ad un’età ragguardevole ed, in più, di aver avuto il privilegio di condividere questo piacere anche da civile   con due cari amici,  Maurizio Cheli e Mario Mutti.

   



La Sardegna, quindi, mi è penetrata dentro nel corso degli anni poiché certamente pregna di forti richiami aeronautici ma anche perché terra ricca di bellezze fatte di tutt’altra natura. E questa volta la mia venuta è stata proprio dedicata esclusivamente solo a quelle.
Infatti, negli anni precedenti,  non avevo avuto il tempo necessario per dedicarmi come avrei voluto alla scoperta dell’importante  patrimonio artistico culturale di cui quest’Isola è ricchissima. Ero riuscito a fare poco.
Oltre a qualche giretto locale attorno a Decimo avevo visto le  coste dell’Ogliastra in canoa ed effettuato  un emozionante giro per le affascinanti gole di So Gorroppu nell’estate del 2012



       

e, nell’estate del 2014,  godere della  solitudine del villaggio nuragico di Tiscali
https://blogbattaglia.blogspot.com/2020/01/tiscali-luglio-2014.html
Ma il viaggio di cui stiamo trattando ora trae le sue origini dalla  bella amicizia con Maurizio che, con la sua simpatica ed affettuosa famiglia, mi hanno più volte avuto ospite a casa loro e mi hanno ulteriormente stimolato a conoscere ancor più a fondo questa meravigliosa Isola.




Maurizio che, oltre ad avere attualmente responsabilità di comando sulla base di Decimo, essere stato per lungo tempo valente Controllore di Volo e fine gestore degli Spazi Aerei, è un profondo conoscitore, nonché grande appassionato, della cultura nuragica. Pertanto, sciolto dagli obblighi del lavoro, non mi è sembrato vero potermi organizzare un viaggetto con la piena libertà di girare per monumenti ed eventi nel periodo di Carnevale, così come da lungo tempo raccomandatomi dagli amici di cui sopra. E, quindi, eccomi in pieno inverno  partenza per la mitica “Shardana” nel bel mezzo dei festeggiamenti carnevaleschi.


Cartina riassuntiva delle mete visitate
Il concetto di fondo è stato quello di rivolgere l’attenzione a mete raggiungibili nell’arco di una giornata da Decimo presso cui ho soggiornato. La priorità è stata posta sul capire piuttosto che fare lunghi spostamenti. Di seguito le destinazioni visitate durante i vari giorni di soggiorno.

Vista generale




Visite di Mercoledi 10 (in blu) e Giovedi 11


Visite di Venerdi 12

Visite di Sabato 13



Nella descrizione di dettaglio di seguito riportata, infine, troverete gli opportuni link che vi forniranno la locazione esatta della maggior parte delle  destinazioni visitate.  Cosa particolarmente utile poiché molte di esse, purtroppo, non sono affatto segnalate.


Lunedi 8 febbraio


Parto in serata da Torino e un paio di ore dopo sono a cena a casa nuova di Maurizio. Rivedo tutta la famiglia e mi complimento per la loro nuova e bella sistemazione. Mi ospitano per una buona cena e tiriamo giù il programma per il giorno dopo. Maurizio è preso da impegni di lavoro ed allora sarà Cristina, sua moglie,  che, molto gentilmente, mi accompagnerà nella prima visita il giorno dopo. Un saluto ai figli ed è ora di ritirarmi, l’indomani sarà una giornata piena.

Martedi 9 febbraio
Partiamo per Oristano partendo in treno da Decimo. Lo scopo di questo viaggio è assistere alla Festa della Sartiglia http://www.sartiglia.info/programma
L’origine di questa festa risale a tempi molto antichi, ben più antichi della caratterizzazione di tipo medioevale che traspare dai costumi dei partecipanti. Tuttavia, essa trova le sue radici più prossime nel rifiorire dei tornei equestri cavallereschi tra il 1400 ed il 1500, tipici dell’Europa offerti al popolo per offrire intrattenimento agli spettatori ed istituite dai sovrani in occasione di incoronazioni o nascite o per dare rilievo a concomitanti festività religiose. Si tratta di una dimostrazione di abilità da parte di circa un centinaio di concorrenti nel condurre il cavallo in corsa centrando una stella sospesa lungo la traiettoria. La cittadinanza sente molto questa festa e la preparazione dei cavalieri è lunga un anno. I giorni di festeggiamento, in realtà sono due, la cui organizzazione è rispettivamente affidata alle potenti corporazioni (dette “gremi”) dei Contadini e dei Falegnami. La Sartiglia del gremio dei Contadini cade la domenica prima del Martedi Grasso, mentre quella dei falegnami è previsto cada proprio il Martedi Grasso.
Ciascun giorno si compone di due grandi eventi. Al primo di essi, detto della Corsa alla Stella, in cui il cavaliere da prova delle proprie capacità individuali, segue, un “secondo tempo” in cui i cavalieri effettuano evoluzioni in gruppo, definite “Pariglie”.  Tuttavia, a latere di questi due eventi principali, vi sono tutta una serie di eventi ancillari. Infatti, la mattina passa per la città un gruppo di tamburini e trombettieri  che accompagna un banditore il quale annuncia in sardo il prossimo inizio della manifestazione.






   A mezzogiorno circa inizia la vestizione del personaggio principale della festa, detto Su Composidori, vestizione che avviene proprio nel gremio dei falegnami. Interessante notare che una volta vestito da donne vergini con un misto di abiti maschili e femminili,  Su Composidori non possa più toccare il terreno, ma è direttamente collocato a cavallo, tant’è che lo scranno su cui avviene quest’evento è  sopraelevato quel tanto per consentire lo scopo.



  








  
 









 



Nel frattempo che la vestizione ha luogo inizia per la città la sfilata di tutte le dame ed i cavalieri con costumi e cavalli finemente addobbati e le principali vie sono opportunamente predisposte con sabbia e balle di paglia
         



 La corsa alla stella inizia una volta che Su Composidori ha benedetto la cittadinanza con un mazzo di viole ed ha incrociato la spada con quella del suo secondo che lo accompagna.


           
     
 


 



 



Più stelle vengono prese più i raccolti estivi saranno ricchi.

   
Per cui la gente partecipa con grande entusiasmo, fotografi compresi!




         
Spesso la stella viene colpita lateralmente e, staccandosi dal suo gancio sospeso sulla corsia,  diventa un vero e proprio oggetto contundente che rischia di colpire il pubblico.
   

 
Abbiamo assistito anche ad una caduta da cavallo accompagnata da grande clamore del pubblico che, per fortuna, non ha portato serie conseguenze per il fantino

Nonché si è vista anche la partecipazione anche di una brava cavallerizza

Questa manifestazione è contaminata qua e là dal burlone spirito carnevalesco e dalla presenza di interessanti bancarelle.
         







Tuttavia sarebbe riduttivo volerla vedere solo in questa chiave. Essa, infatti,   affonda le sue primitive radici in culti relativi alla fertilità, molto ricorrenti nella cultura popolare sarda,  di cui avremo modo di parlare in seguito.
La corsa alla Stella è seguita nel pomeriggio dalle Pariglie







       
Ed il tutto si conclude in serata con la svestizione di Su Composidori. Se volete andare, scegliete la manifestazione del Martedi Grasso, è meno affollata rispetto a quella della Domenica. Inoltre, evitate l’uso della macchina. Entrate in città con il treno fruendo della linea ferroviaria che collega Cagliari con Olbia poichè Oristano si gira tutta agevolmente a piedi. Mi sento anche di dire che conviene prendere per tempo dei biglietti per la tribuna. Si vede molto bene il momento dell’aggancio della stella e si possono fare dei buoni scatti lontani dalla folta.
Rientro su Cagliari e la buona Cristina generosamente si produce per cena nuovamente in cucina.

Mercoledi 10 febbraio
Dopo una giornata intensa come quella di ieri oggi inizio con più calma. L’appuntamento è con le Cantine Argiolas (www.argiolas.it), un mitico punto di riferimento per il rifornimento di vino in Sardegna.
Convenientemente situate nel paesetto di Serdiana, a quattro passi da Cagliari, le Cantine Argiolas offrono una notevole molteplicità di scelta di bianchi e di rossi

, di uso quotidiano o di elevato profilo. Ero uso andare ad  acquistare del bianco davvero particolare chiamato “Is Argiolas”.

Purtroppo questa qualità di vino mi dicono
in Cantina che era terminato. Sciagura….chi l’avrebbe sentita la Marmotta (mia moglie) a casa su a Torino se fossi tornato senza il generoso bianco!  Mi ha aiutato la signorina alla reception proponendomi dell’ Iselis, un bianco di analoghe qualità ed anche più forte in  gradazione (14°.5!).
Provvedevo, quindi, a farmi inviare dalla Cantina 24 bottiglie di questo prezioso nettare che mi avrebbero poi raggiunto, con ottimi risultati a tavola, una volta rientrato a Torino.


E poiché Maurizio è ancora preso al lavoro a Decimo, approfitto per ritagliarmi il tempo per andare a trovare una cara amica che abita vicino a Serdiana. Un’amica con cui ho intessuto negli anni una speciale relazione e che ero passato a trovare ogniqualvolta sono transitato in Sardegna. Avevo letto di lei e la conobbi quando andai la prima volta alle Cantine Argiolas. Sarete curiosi di sapere le generalità di questa misteriosa signora. Vi accontento subito. E’ certamente più grande di me, ma i suoi anni se li porta proprio bene. E’ la splendida chiesetta romanica di Santa Maria di Sibiola, non lontana da Serdiana (http://wikimapia.org/#lang=it&lat=39.367579&lon=9.122060&z=16&m=b&search=santa%20maria%20di%20sibiola) risalente all’anno 1100, circondata dalle basse vigne degli Argiolas. Silenzio e luce la circondano sempre. Andarla a trovare  mi da pace all’ animo e le foto che accludo sono convinto vi daranno la stessa serenità.
   




     
Nel pomeriggio Maurizio riesce a liberarsi e mi propone una visita in  Cagliari ad una mostra sul Neolitico in Europa ricca di numerosi reperti provenienti dal Museo Ermitage di San Pietroburgo e da importanti istituzioni sarde. Il confronto tra questi oggetti rivela profonde affinità tra le culture orientali e quelle occidentali. Maurizio mi spiega, inoltre, che il neolitico è la chiave di volta per comprendere bene tutto ciò che sottende monumenti, tradizioni e culti della Sardegna che poi andremo a vedere nei giorni successivi. In questo periodo, infatti, l’uomo passa dalla condizione di  cacciatore raccoglitore a contadino ed allevatore dislocato in comunità stanziali. Una vera e propria rivoluzione che lascerà i suoi segni indelebili nelle generazioni successive. La modernità, infatti, trae spunto dai progressi allora innescati dai primi e rudimentali cicli produttivi, dallo sfruttamento delle risorse naturali e dalle prime alterazioni dell’ambiente naturale. Il successo in questi processi, inoltre, va a costituire una sorta di differenziazione tra i gruppi e scava differenze all’interno del singolo gruppo. In questo periodo, pertanto, nasce e cresce l’esigenza di segnare, con oggetti e manufatti, lo status sociale e credenze necessari all’identificazione del gruppo o dell’individuo.  Viene percepita la fragilità della vita e si cerca un modello rigenerativo della vita e della natura per superare il turbamento della morte.   La concezione cosmogonica del mondo che ci circonda, allora, viene intesa dalle popolazioni d’allora come ciclo continuo tra nascita, morte e rinascita. Un ciclo cui tutti gli esseri, e la stessa Natura, soggiacciono. Vita che trae le proprie energie dalle sorgenti d’acqua, dal sole, dalla luna, dall’umidità della terra e dal sangue che la bagna. La rappresentazione della grande forza vitale si emana tramite il culto della Gran Madre, fonte fertile dell’Universo, signora della vita che trionfa sulla morte. Ed a lei si accompagna la vitalità del regno animale rappresentato nell’iconografia dal toro, simbolo di vitalità e forza. La loro unione assicura il rigenerarsi del ciclo vitale e coloro che sono morti attendono la rinascita dal grembo della Grande Madre Terra. Sembrano concetti astratti e privi di connessione con la realtà di tutti i giorni ed, invece, marcano profondamente il vivere quotidiano dei popoli del neolitico. Essi pensano, e quindi vivono, e quindi costruiscono in ragione di quei concetti. Le visite alle tombe, dette Domus de Janas e che Maurizio nei giorni prossimi mi mostrerà, mi porteranno a toccare con mano questa concezione ciclica dell’esistenza.   I reperti, presi da tombe sarde e da tombe quasi coeve dell’Est Europa, danno una misura della raffinatezza di quei tempi. Raffinatezza che già si avvale di tecnologie metallurgiche avanzate, fa uso di pietre preziose e di forme complesse. Ho fatto qualche scatto nelle teche e credo gradirete anche voi quanto mi ha affascinato.


           













   
           
In queste immagini avrete riconosciuto la riproposizione del tema fondante  della ciclicità della vita, rappresentata dalla spirale, la floridità della Gran Madre (reperto ritrovato a quattro passi da Decimomannu), le armi in bronzo ottenute per colata  di metallo fuso,  i caratteristici bétili  o pietre sacre rappresentative di divinità o degli antenati, delle statuette votive rappresentanti la dea della morte (con copricapo triangolare), il toro simbolo della forza, i lingotti di metallo con i bracci in modo da rendere facile il trasporto, statuette votive, vari utensili per l’agricoltura ed, infine  preziosi monili a sottolineare la stratificazione sociale ormai pienamente affermatasi.
Questa bella giornata termina ancora con una generosa cena a casa di Maurizio, dove Cristina si è nuovamente prodigata in cucina. Cena in cui viene tracciato il ricco programma per il giorno successivo.

Giovedi 11 febbraio
Quest’oggi Maurizio assume il comando pieno delle operazioni. Partiamo con prua nord verso il piccolo paesetto di Pimentel. Lungo la strada che collega questo paesetto con quello di Guasila c’è una intera necropoli nota con il nome di Domus de Janas di Corongiu.  Iniziamo con una spettacolare tomba monumentale ed isolata, probabilmente appartenuta ad un gruppo familiare di rango, nota come sito di Corongiu I reperibile tramite il link
http://wikimapia.org/#lang=it&lat=39.497854&lon=9.059137&z=20&m=b&search=pimentel%2C%20%20corongiu
Tale monumento è del tipo “scavato nella roccia” e l’ingresso è un autentico buco nel terreno. La parte della friabile superficie rocciosa reca dei segni inconfondibili.  Ci sono delle opportune pendenze e scoli che, ancor oggi, impediscono all’acqua piovana di penetrare nel manufatto. Ci sono delle “coppelle”, ovvero degli scavi delle dimensioni di una piccola tinozza, il cui significato non è ancora del tutto decifrato. Ma ciò che più colpisce è la presenza della testa del toro dalle lunghe corna, così come già descritto nell’iconografia della mostra che avevamo visto esattamente nella mostra il giorno prima.
 


 
 Ci spostiamo di qualche centinaio di metri ed entriamo nel sito Corongiu II, reperibile tramite il link
http://wikimapia.org/#lang=it&lat=39.504755&lon=9.058603&z=20&m=b&search=pimentel%2C%20%20corongiu
Qui le tombe sono numerose, anch’esse scavate nella roccia. Una di esse risulta essere preminente per dimensioni e complessità. Ha di fronte a se un grande lavoro di sbancamento che adduce alla porta della tomba. Per quanto azzardata possa sembrare la seguente affermazione il richiamo alla  simbologia con l’organo genitale femminile non è affatto casuale ed, anzi, è una chiara citazione della concezione cosmogonica delle popolazioni in argomento.


La Grande Madre Terra, infatti,  ci genera, la medesima Madre ci accoglie nella Morte per farci rinascere. E, quindi, una tomba a forma di utero non è poi un’immagine così inappropriata per quella cultura.


Maurizio mi guida nell’esperienza di entrare in questi antichi manufatti ed a respirarne lo spirito. Colpisce il lavoro dei fossori (scarpellini) che hanno scavato questi anfratti e che risulta ancora evidentissimo, l’uso del colore rosso ottenuto con ossido di ferro ed albume d’uovo. Il rosso, ricco di simbologia religiosa, rappresenta il colore del sangue, il colore della vita a testimonianza che la Natura supera, con un moto ciclico, la stasi della morte. I defunti, infatti, venivano sepolti con il viso verso l’apertura della porta, pronti a ritornare all’esistenza terrena.
    







         
Maurizio è una forza della natura, entra ed esce da tutti i buchi che trova e, con passione e profonda conoscenza, mi accompagna in questo viaggio in un mondo lontano almeno 3000 anni




Ritornando verso la strada mi fa ancora notare la presenza di una cava di epoca romana, con tanto di cisterna ancora esistente, insediamento di almeno un migliaio di anni più recente dei manufatti nuragici e che sembra essere stata giusto momentaneamente lasciato per una pausa mensa. Lo scavo dei blocchi è ancora chiaramente visibile ed il lavoro di oggi sta per essere concluso dagli schiavi con l’ultimo blocco già estratto. Basta solo caricarlo sul carro e dirigere verso il più vicino porto.       
   

                           
La trireme è già pronta. E’ lì che ci aspetta.
Impressiona anche la presenza di solchi sulla roccia friabile che, a prima vista, potrebbero far pensare a quelli lasciati dai carri.

Tuttavia, poiché spesso detti solchi si incontrano venendo meno al loro parallelismo, questa ipotesi sembra vacillare a favore di ipotesi più alate, quali, ad esempio, sistemi che descrivono le orbite di stelle o altri corpi celesti.
Ci intratteniamo ancora un po’ nel silenzio di queste tombe e Maurizio mi da ulteriori informazioni sulla struttura tipica di una Domus de Janas, facendomi notare che, nella tomba che stiamo visitando, la tipica stele rocciosa che supportava il peso del soffitto è stata barbaramente prelevata e riutilizzata per chissà quali usi nel corso dei secoli.




Chiesa di Suelli

Riprendiamo il viaggio e, passando per il piccolo paesino di Suelli, a qualche chilometro da Pimentel, Maurizio mi fa visitare il Santuario di San Giorgio che contiene una bella pala del 1700 collocata appena dietro l’altare,




e, in una cappella laterale, ulteriori pitture che descrivono la vita di San Giorgio. Tuttavia, la chiesa ospita un’antica statuetta della Madonna che farebbe trasecolare le autorità religiose. La Madonna appare rappresentata come una donna chiaramente incinta. Eppure, in Sardegna, esistono, sia pure in modo residuale, commistioni di cristianesimo e semplici credenze pagane




Proseguiamo il nostro viaggio e, poco più a Nord di Suelli, facciamo il nostro primo incontro con la cultura nuragica. Visitiamo, infatti, il Nuraghe Piscu
http://wikimapia.org/#lang=it&lat=39.589621&lon=9.130677&z=19&m=b&permpoly=1554397
maestoso complesso nuragico risalente tra il 1400 ed il 1000 avanti Cristo. Impressionano le possenti strutture ed è difficile capire come uomini con tecnologie apparentemente ancora molto primitive abbiano avuto l’ardire di cimentarsi in costruzioni così complesse.


 


  



Il panorama attorno è tappezzato di verde, romantico, segnato dal vento. A tal punto immutato nei secoli da richiamarmi alla mente dei passi omerici laddove il poeta  narrava del pascolo indisturbato dei buoi dalle lunghe corna di proprietà del dio Sole


   


Un riferimento, quello omerico,  che, come avremo modo di vedere in seguito, non sarà l’ultimo durante questo viaggio.
Nel dirigerci verso San Basilio, altro piccolo paesetto nei dintorni di Suelli e dislocazione di alcuni pozzi sacri, ripassiamo per Senorbi dove ci imbattiamo in un simpatico negozio di “moda sarda”. Un vero e proprio atelier, con produzione di articoli in cuoio e delicati ricami.
   


E, percorsa una piccola strada interpoderale, eccoci di fronte ai pozzi sacri di  Bau Crabas,
http://wikimapia.org/#lang=it&lat=39.522693&lon=9.184301&z=18&m=b&show=/1554397/it/Nuraghe-Piscu&search=bau%20crabas
In realtà i pozzi sono due. Il primo neanche ancora scavato

ed il secondo, invece, che chiaramente mette in luce la propria raffinata struttura ipogea, simbolo dell’importanza del culto delle acque. Acqua, fonte di vita, fonte di rinnovamento, capace di fertilizzare la terra affinchè produca i propri frutti. Il significato metaforico è ovviamente anche legato alla fertilità umana e, quindi, in epoche comprese tra il 1500 ed il 900 avanti Cristo questi santuari pagani divengono luoghi di pellegrinaggio in cui si viene a chiedere il favore della divinità. Tant’è che il culto si è mantenuto durante la successiva epoca romana come attestano ritrovamenti di numerosi ex voto. Proprio in questa occasione ci è, infatti, capitato di notare l’ansa di un’anfora romana. Segno dell’intensa frequentazione del luogo e dell’intensità delle credenze. La struttura del pozzo è particolare: le pietre cono state lavorate con cura. Alle scale che scendono nel ventre della Terra fanno riscontro i gradini che scandiscono il soffitto, quasi a voler rimarcare la vicinanza, direi  la simmetria dei due mondi.
Il mio Virgilio (Maurizio), mi mostra la strada per questo tratto di aldilà.



     
Il silenzio di questo luogo è assordante. Così come lo era da circa 3000 anni. Interrotto solo dal frusciare improvviso di uno stormo di uccelli.

Lasciamo questo posto ancestrale per dirigere verso il paese di Goni. Tuttavia, questa Sardegna non finisce mai di stupire con le sue bellezze ma anche con i suoi ricordi questa volta aeronautici. Lungo la strada, infatti,  scorgiamo in lontananza verso Sud un altro vecchio amico. Il Sardinian Radio Telescope  (SRT) a pochi chilometri da S. Nicolò Gerrei, il radio telescopio più grande ed avanzato d’Europa. Lo avevo scelto come target quando, ancora in costruzione, facemmo una demo in Sardegna con Sky Y, un drone prototipico fornito di sensore elettroottico (quella “boccia” grigia sotto il muso).



Bei tempi quelli del volo! Con questo dolce sapore ci avviamo verso il Parco Archeologico di Pranu Muteddu, la cui locazione esatta è ottenibile dal link http://wikimapia.org/#lang=it&lat=39.567728&lon=9.269156&z=17&m=b&show=/2086447/it/Area-archeologica-di-Pranu-Muttedu&search=muteddu
Anche qui Domus de Janas risalenti al 3000 avanti Cristo scavate nella roccia, questa volta accompagnate da numerosi e poderosi Menhir. Pesanti colonne di pietra erette probabilmente per celebrare importanti antenati. Tra l’altro molti di questi Menhir formano figure geometriche o allineamenti molto particolari e gli studiosi ne stanno vagliando la finalità.  Si pensa, addirittura, che alcuni cerchi costituissero aree sacre destinate alla  scarnificazione dei defunti ad opera degli avvoltoi prima della loro deposizione nelle Domus de Janas. Mi ricordo di aver sentito una simile consuetudine andina in un precedente viaggio in Bolivia.



      Mi diverte vedere Maurizio che tiene una Lectio Magistralis di archeologia ed antropologia alla guida che gentilmente, quanto ingenuamente, si era avvicinata nell’intento di dargli qualche ragguaglio sul sito. Ed alla fine del giro è stata la guida stessa, contenta delle informazioni aggiuntive ricevute, ad offrirci un bicchiere del suo delizioso mirto “produzione propria”.

Goni

Ultima tappa del nostro lungo giro odierno. Si tratta di due Domus de Janas adiacenti e risalenti al  3500 avanti Cristo la cui peculiarità è essere state costruite ben più in alto del piano di calpestio ed esposte verso Ovest. http://wikimapia.org/#lang=it&lat=39.575899&lon=9.270990&z=20&m=b&show=/32804951/it/Domus-de-janas-di-Is-Concas-de-tziu-Peppi-o-Serrionis-I&search=muteddu
Sinora, infatti, le entrate erano tutte rigorosamente esposte ad Est, proprio per sottolineare il concetto che sottende la filosofia di vita, ovvero il concetto di rinascita, di prevalenza della vita sulla morte. La strada che conduce al sito è una ripida salita, ma, con po’ di buona volontà, consente di arrivare in macchina.




Venerdi 12 febbraio

Stamattina prua Ovest. La destinazione iniziale è Domusnovas, un paesetto compreso tra Decimo ed Iglesias. Qui c’è un grande nuraghe detto S’Omu ‘e S’Orcu (La casa dell’orco), costruito a più riprese in un arco temporale compreso tra il 1600 ed il 1000 avanti Cristo.
http://wikimapia.org/#lang=it&lat=39.323791&lon=8.640136&z=20&m=b&search=domusnovas
Tradizione vuole che questo nome gli fosse stato attribuito per evitare che i bambini si avvicinassero al Nuraghe. In effetti la possente struttura muraria che lo circonda e la grandezza del complesso in sé fanno pensare ad abitanti di dimensioni non umane. Purtroppo non è stato mai scavato e l’abbandono nei secoli rende di fatto impraticabile l’interno dell’ampio complesso. Ci si può giusto arrampicare su quanto rimane ma è già sufficiente per dare l’idea della grandezza del manufatto. Con un po’ di immaginazione si riesce comunque ad immaginare il mastio centrale incastonato in un bastione a tre torri. Attorno a questo nucleo centrale che impressiona, una cinta muraria di massi il cui peso di ciascuno è attorno alle 10 tonnellate. Tutto attorno vi sono delle rovine di un villaggio più o meno coevo.
   



 
E’incredibile come circa 3500 anni fa queste popolazioni dell’età del bronzo siano state in grado di realizzare strutture di questa grandezza!
Ci spostiamo di poco in macchina verso Nord rispetto al Nuraghe appena visto e Maurizio mi riserva un’altra sorpresa. Quante volte sono ritornato a bassa quota dalla D40 verso Decimo, eppure con avevo mai notato che alle spalle di Domusnovas, in località Grotte San Giovanni,
http://wikimapia.org/#lang=it&lat=39.337185&lon=8.627465&z=16&m=b&search=domusnovas
 esisteva un tunnel carsico antichissimo scavato da un fiume sotterraneo che mette in comunicazione Domusnovas con i folti boschi dei comuni di Fluminimaggiore e Villacidro. Per qualche anno, in un passato abbastanza recente, questo tunnel lungo quasi un chilometro è stato reso transitabile alle auto arrecando gravi danni alle formazioni rocciose per via dei gas di scarico. Fortunatamente questo barbaro utilizzo è stato fermato ed ora il tunnel, ben illuminato, è percorribile solo a piedi e non finisce di stupire per le sue dimensioni e per le sue concrezioni calcaree.
           










                                  
Sbuchiamo dall’altra parte del tunnel e ci si parano davanti boschi ancora selvaggi che Maurizio mi descrive tratteggiando la fauna di rilievo ivi esistente: cinghiali, cervi, capre selvatiche, avvoltoi ed, addirittura, qualche aquila.






Ritorniamo sui nostri passi ripercorrendo in senso inverso il tunnel       
e poi proseguiamo verso l’oliveto secolare di S’ Ortu Mannu (Orto Grande), situato ad Est di Villamassargia
http://wikimapia.org/#lang=it&lat=39.264706&lon=8.682407&z=17&m=b&search=S’ORTU%20MANNU
All’ingresso del sito, un gregge di pecore indaffaratissime.

Ma valeva la pena di fare questo spostamento!
Sa Reina (La Regina) ci accoglie nel suo pieno e regale fulgore con all’attivo circa 1000 anni di regno! Alto 16 metri è un albero che impressiona per le sue dimensioni.



Ma anche gli altri olivi che costituiscono la corte di Sa Reina sono un bel contorno. La loro corteccia contorta da la chiara idea del trascorrere dei secoli.  Curiosamente su molte di questi tronchi vi sono delle iniziali.
   




Maurizio mi spiega che in epoca dei Giudicati (città stato, ovvero attorno al 1200), in Sardegna la pianta era assegnata ad una singola famiglia affinchè la potesse accudire ed, ancora oggi, questa consuetudine viene mantenuta.
Lasciamo questo paradiso terrestre e puntiamo verso Carbonia. In particolare puntiamo verso una Domus de Janas sita appena ad Est del Monte Crobu a sud della cittadina. Una locazione non facile da trovare perché per nulla segnalata.
http://wikimapia.org/#lang=it&lat=39.139458&lon=8.527862&z=20&m=b&search=MONTE%20CROBU
E’ necessario camminare per circa una mezz’oretta nella sterpaglia. Il panorama è bello perché l’isola di Sant’Antioco ed il mare sono proprio di fronte.



 Si raggiunge, infine, ciò che a prima vista appare un gran cespuglio cresciuto davanti ad una roccia.
E, invece, è l’ingresso per una tomba di circa 3000 anni avanti Cristo! Maurizio mi fa strada e si infila nel buco che ammette all’interno della tomba ed appena abituati alla penombra della prima camera mi disegna sulla terra la pianta del manufatto.



Esso si compone di due ambienti principali che riproducono la fisionomia di una vera e propria casa dell’epoca. Un primo ambiente di forma semicircolare fatto da un tetto a vela che sembra riprendere, per la sua leggerezza, il tema di una tenda. Questo spazio è quello  dedicato al culto. Un secondo ambiente a pianta rettangolare e tetto a capanna è destinato, invece, per le inumazioni. Inumazioni che si sono ripetute nei secoli. Il terzo ambiente, infine, quello più interno, conserva la falsa porta che, per le credenze antiche, era il punto di contatto tra il mondo dei vivi ed il mondo dei morti.
Nel primo ambiente c’è ancora una discreta luce e Maurizio continua il suo paziente, e per me entusiasmante, lavoro di guida. Quando si decide di entrare nel secondo ambiente l’oscurità è totale. L’unico legame con la luce è quello con il fascio prodotto dalle nostre lampade frontali, il che da un gran senso di avventura, davvero inatteso, a questa meravigliosa escursione. 

Questa seconda stanza, con ancora intatti i ripiani su cui appoggiare le spoglie dei defunti,  è assolutamente fuori dal mondo. Sembra essere già tutto lontanissimo.




 
Qui il silenzio è assordante e la percezione della realtà attorno a noi, il tempo, il divenire, il vento,  i colori, le dimensioni a noi consone hanno perso i loro connotati.  Siamo davvero proiettati, risucchiati indietro di 5000 anni. Poche parole. E’ il silenzio che si impone. E forse, così come è stato per tanti altri visitatori da 5000 anni a questa parte che hanno adito da vivi questa camera sotterranea, il pensiero va al rispettivo affetto ciascuno di noi due dal quale si è dovuto  tristemente separare di recente: Maurizio da suo padre ed io da mia madre.
 



Dopo un intervallo di meditazione decidiamo che un simile momento debba essere fermato ed, usando delle nostre frontali, riusciamo ad ottenere quel minimo di luce per fissare un’immagine di noi due in questo spazio surreale che mette d’accordo la storia antica con l’esistenza contemporanea.

Infine, ci affacciamo nell’ultima stanza che la stupidità umana ha profanato. La falsa porta di cui avevamo parlato era stata barbaramente picconata nel vano, quanto insensato, tentativo di trovare chissà quali tesori materiali in un luogo dello spirito la cui essenza, i cui valori di riferimento poggiavano esclusivamente sulla metafisica concezione ciclica dell’esistenza. Che prova di stupidità questa stolta cupidigia che non ha avuto rispetto di certi valori!

Riemergiamo lentamente verso il mondo dei vivi. Grazie Maurizio. Che esperienza!
La passeggiata si conclude con il fortuito incontro di un pastore che, alla veneranda età di 94 anni, seguiva da solo il suo gregge sulle pendici del Monte Crobu da cui provenivamo.

Sulla via del ritorno mi fermo al Ponte Romano di Bigia Manna situato a due passi dalla base di Decimo.
http://wikimapia.org/#lang=it&lat=39.305399&lon=8.954940&z=20&m=b&search=PONTE%20ROMANO%20DECIMO
Anche qui, chissà quante volte ero passato per quel luogo ignorando l’esistenza di quel manufatto. Oggi piuttosto malandato, quasi sommerso dai rovi e poco segnalato, questo ponte univa già all’epoca romana la zona delle miniere di piombo, argento e ferro dell’Inglesiente con il porto di Calaris. Probabilmente Decimo prende il proprio nome per il fatto di trovarsi, per chi veniva da Cagliari,  circa al decimo miglio di detta importante arteria. Quanta storia che c’è da sapere!

Sabato 13 febbraio
Partenza prestino stamattina. Oltre a Maurizio viene con noi anche Mario, per cui oggi saremo in tre a fare le esplorazioni. Ci immettiamo sulla SS 131 e, dopo un’oretta e mezza di viaggio arriviamo dalle parti di Abbasanta per visitare il Nuraghe Losa.
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Si tratta di un insediamento molto antico che, sia pure caratterizzato da fasi costruttive successive, può essere databile attorno al 1400 avanti Cristo. Non è un semplice nuraghe, ma un complesso abitativo alquanto elaborato che sorprende per dimensioni e raffinatezza. Complesso che venne poi riutilizzato da popolazioni successive come testimoniano una necropoli e numerosi reperti romani scoperti in loco. Tale riutilizzo ha avuto luogo sino, addirittura, all’epoca bizantina, attorno al 700 dopo Cristo.

Le dimensioni sono poderose. Si stima che raggiungesse l’altezza massima di 30 metri e lo spessore delle mura è tale da ospitare delle rampe di scale che, a tutt’oggi, ammettono ai piani superiori.




     
Esso è costituito da impressionanti blocchi di basalto disposti a costituire una torre centrale ed un bastione di forma approssimativamente triangolare. Il tutto era protetto da possenti cinte murarie.

Attorno a questa struttura una necropoli romana che Maurizio ci descrive facendoci notare che su ciascuna urna in pietra per l’inumazione delle ceneri, di solito di forma circolare o quadrata, vi è un apposito  spazio ricavato nella pietra fatto per posizionare una moneta. Quella moneta che avrebbe consentito al defunto di pagare Caronte per il traghettamento dell’anima nel regno dei morti.

Entriamo nel corpo centrale del nuraghe. La stanza centrale, quella di maggior rango, è di forma circolare di circa 5 metri di diametro ed un’altezza massima, dal piano di calpestio al soffitto ogivale detto “tholos”, di oltre 7 metri. Lungo le pareti della sala vi sono tre nicchie simmetricamente distribuite rispetto alla porta da cui si entra.  Maurizio mi dice che la distribuzione interna degli spazi di questa stanza richiama quella contenuta nel VII° Libro dell’Odissea in cui Ulisse, naufragato nella terra dei Feaci,  ammira la sala del trono re Alcinoo. L’epoca nuragica sarebbe pienamente compatibile con quella della guerra di Troia (circa 1100-1200 avanti Cristo) e le costruzioni a tholos, tra l’altro, sono proprio tipiche della civiltà micenea che quella guerra ha combattuto. Certo l’idea di un passaggio di Ulisse in terra sarda – dopo le peripezie nello Stretto di Messina (Scilla e Cariddi e le tentazioni delle sirene, gli ammaliamenti della maga Circe – è un’ipotesi a dir poco intrigante.

Ma la complessità della civiltà nuragica non si esaurisce nell’aspetto architettonico. La costruzione di un nuraghe, infatti, non risponde a meri criteri funzionali ma ha come profondo sostrato culturale approfondite cognizioni di astronomia. Vediamo come questo concetto si applica in pieno al nuraghe Losa. Sappiamo che il Sole nasce ad Est. Ciò in realtà capita solo negli equinozi (21 Marzo e 23 Settembre). Sappiamo pure che d’estate le giornate sono lunghe e d’inverno sono corte. Ciò è dovuto al fatto che d’estate il Sole nasca molto presto (e poi si corichi anche più tardi). Ossia, invece di nascere ad Est (090°), al solstizio d’estate, ovvero  il 21 giugno,  nasce, alle nostre latitudini, per circa 070°. Il contrario avviene il 21 di dicembre, quando, essendo le giornate molto corte, nasce più tardi, ovvero per circa 120°.  La nascita del sole, dunque, in tutto l’anno oscilla tra 070° e 120°.

Ebbene, come si può vedere in figura, la costruzione triangolare del complesso nuragico va esattamente a comprendere questi due estremi. Il complesso così concepito potrà allora beneficiare per tutto l’anno dei raggi diretti del sole appena questo sorge. Il che non può che riportarci al concetto di fondo di questo viaggio sardo, ovvero, che le generazioni che si sono susseguite nella costruzione di questo nuraghe si sono tramandate oralmente l’esigenza di dover vedere sempre i primi raggi del sole indipendentemente dalla stagione. Il sole, anzi la divinità Sole, quella che, con il proprio calore, aiuta la vita a riprendere il proprio ciclo.
Inoltre, nella costruzione, vi sono delle particolari aperture che, in concomitanza con delle date (equinozi e solstizi) permettono ai raggi solari e lunari di raggiungere locazioni di particolare preminenza e significato all’interno della costruzione. Mi dovrò documentare su questo interessante argomento. Maurizio mi indirizza verso dei testi inglesi che ho intenzione di procurarmi.  Se vogliamo, anche qui da noi abbiamo la nostra Stonehenge!



Inoltre, la dislocazione stessa di più nuraghe avviene secondo allineamenti che non possono essere casuali e sono oggetto di appassionanti studi di archeoastronomia. Resta comunque un mistero capire come una popolazione senza scrittura era in grado di realizzare manufatti che, al contrario, erano dei veri e propri calcolatori.


Proseguiamo la nostra escursione da Abbasanta verso Sorradile con destinazione un altare sacro scoperto alla fine degli anni 80 presso il Lago Omodeo. Le due campagne di scavo lo datano tra il 1100 ed il 900 avanti Cristo.Esso è caratterizzato da due corpi di fabbrica contigui ancora chiaramente visibili e facenti parte di un’unica struttura sacra. Un primo ambiente, di forma rettangolare, era dedicato a contenere i pellegrini, i credenti ed era fornito, nel perimetro interno,  di sedili in pietra.

Il secondo, invece, di forma tondeggiante, e probabilmente esclusivamente dedicato agli officianti, conteneva una vasca a forma di nuraghe contenente acqua sacra. Nelle pietre della vasca si vedono ancora gli inserti metallici di strutture decorative ormai perse.



Interessante notare la tecnica costruttiva delle mura esterne del manufatto. Esse sono costituite da pietre scolpite a forma di T unibili le une alle altre tramite delle opportune incisioni con un getto di metallo fuso. Venivano realizzate, pertanto, due pareti con questa tecnica distanziate di circa un metro e lo spazio interno riempito con terra e sassi.
   



Questo muro davvero solido è ancora in piedi e si può apprezzare la raffinatezza costruttiva di quelle popolazioni osservando la perizia con cui è stato realizzato, in un unico blocco, il raccordo tra le due differenti forme, ovvero laddove la struttura da rettangolare diviene circolare.

Proseguiamo verso Sorradile ed arriviamo all’insediamento delle Domus de Janas di Prunittu, sito su un canyon che si affaccia anch’esso sul lago Omodeo. 
http://wikimapia.org/#lang=it&lat=40.102859&lon=8.921059&z=17&m=b&search=prunittu
Il terreno è molto scosceso e il luogo emana qualcosa di sovrannaturale. Inizio a fotografare tombe ricavate da anfratti naturali presenti nella roccia ed abilmente sfruttate dai fossori dell’epoca.
   





Purtroppo accade un imprevisto. Un trafilamento di acqua rende la roccia molto scivolosa. Mi parte un piede, non mi faccio assolutamente nulla ma, nel movimento di parare la caduta, la mia macchina fotografica, fedele compagna in tante altre spedizioni, picchia pesantemente su un sasso vicino e mi pianta in asso. Si spegne e, nell’esalare l’ultimo respiro, mi dice “lens error”. Insomma resto privo dello strumento principe necessario alla mia spedizione. Verrò a sapere, una volta rientrato a Torino, che, con mia somma gioia,  la mia cara compagna di avventure se la caverà  con la sostituzione di un pezzo.
Ma c’è talmente tanto da vedere e da scoprire che non c’è tempo per i rammarichi. Il gioco è valso comunque la candela. Tiro fuori l’Ipad e continuo a fotografare con quello. Purtroppo le immagini non potranno essere quelle che volevo, ma riesco comunque a rendere testimonianza delle cose meravigliose che mi si pareranno davanti.
Ci caliamo in una tomba arrampicando sulla roccia e, per via delle ridotte dimensioni dell’orifizio d’entrata, lasciamo  fuori quanto non ci serve.



 





Ci sediamo sul pavimento nel buio e Maurizio ci spiega l’architettura interna degli ambienti e,  Ci muovendoci su un terreno particolarmente secco e fine, ci viene raccomandato di non sollevare polvere inutilmente. Sarebbe tutto pulviscolo che andremmo a respirare. Nelle sale interne, inoltre, potrebbero esserci eventualmente dei pipistrelli, per cui veniamo anche avvertiti di non farci impressionare dal loro movimento.
   


Terminiamo la visita in questo mondo della luna scoprendo ulteriormente la raffinatezza artistica di queste popolazioni





 
Breve passaggio per Sorradile dove ammiriamo la facciata dell’antica chiesa di San Sebastiano, fatta di pietra grigia e rossa.
http://wikimapia.org/#lang=it&lat=40.106330&lon=8.931654&z=18&m=b&search=chiesa%20di%20san%20sebastiano




Ed arriviamo, infine, a Nugheddu Santa Vittoria. La ragione di questa destinazione ha un sapore “agrodolce”. Da un lato vi è una tomba il cui interno si sono incredibilmente conservati nei secoli i segni distintivi di quel manufatto (l’incisione del toro dalle lunghe corna, il rosso con cui le tombe erano decorate).
  
 


Dall’altro, l’assenza quasi totale di sensibilità verso l’importanza di questi documenti.  Case cresciute sulle tombe, tombe riutilizzate per il ricovero degli animali, tombe che vanno perse perché, purtroppo, soggette a frane e ad allagamenti.
   








 
Tuttavia, la nebbia ed il silenzio in cui questo paesino di montagna si è trovato ad essere avvolto al momento della nostra visita hanno fatto sì che, comunque, questi interessanti monumenti riuscissero ad esercitare il loro forte fascino su di noi.






Procediamo, infine, sempre nella nebbia, per Ulà Tirso, speciale destinazione finale di questa già ricchissima giornata.
http://wikimapia.org/#lang=it&lat=40.045555&lon=8.903646&z=17&m=b&search=ula%20tirso
Oggi, infatti, in questo sperduto paesetto si celebra la Festa del Carnevale. E’ un evento particolare perché, oltre alle maschere del paese, vengono ospitate anche le maschere dei paesi vicini. Il che mi consente di avere un contatto con più costumi in una sola occasione. Se, infatti, avessi voluto girare paesino per paesino avrei dovuto fermarmi molto di più. Bravo Maurizio. Ottima pensata!
Prima di descrivere le maschere, tuttavia, è necessario spiegare le radici profonde di questa festa. Lo schema con cui sfilano i singoli gruppi è il seguente. Ciascun gruppo di figuranti è diviso in due fazioni. Una prima fazione, magari anche composta da una sola persona, di solito in catene, rappresenta un essere da sembianze animalesche che deve sacrificato. Una seconda fazione rappresenta, invece, i carnefici che hanno l’incarico di procedere al sacrificio. Questi figuranti girano per le vie del paese con i loro costumi caratteristici coinvolgendo il pubblico, prevalentemente quello femminile, con urla e dimostrazioni di agilità. Il clou della rappresentazione si ha quando la divinità, ovvero il figurante con sembianze animali, dopo lungo strepito e movimento, viene bloccato al suolo e virtualmente, anche se l’evento non manca una forte fisicità, ucciso. In altri paesi ci sono ritualità più cruente con il reale versamento di sangue animale, nel senso che il figurante con sembianze animali reca addosso a se interiora di animale e ne sparge brandelli quando viene colpito. Maurizio ci spiega che questo andamento altro non è che il ripetersi del tema più profondo della rinascita della natura. La divinità deve morire, fertilizzare con il proprio sangue la madre terra per consentire la rinascita della natura. Lo stesso periodo dell’anno in cui tutto questo ha luogo, ovvero il periodo di Carnevale, coincide non a caso con la ripresa dell’allungarsi delle giornate dopo il solstizio d’inverno. Il Carnevale è vissuto come un’allegra festa in maschera ma, in realtà, si tratta di rivisitazioni di antichi riti e credenze pagane. E qui si apre il discorso, delicato, del riutilizzo del cristianesimo proprio di alcuni culti pagani. Cosa è il Natale se non una nuova nascita? E la pasqua? Non è essa stessa la festa di una rinascita dopo il lungo inverno? La Grande Madre Terra non ha forse grande attinenza con la figura della Madonna? Interrogativi di sicuro interesse che vengono fuori in modo molto chiaro osservando queste manifestazioni che in Sardegna si sono mantenute ancora “intatte” sotto il profilo antropologico.
Fortuna vuole che arriviamo proprio di fronte all’associazione locale ove ha luogo la vestizione delle maschere di Ulà Tirso, detta dell’orso e dei suoi guardiani.

 Le immagini descrivono la vestizione dei carnefici, quella della divinità da sacrificare e la partecipazione dell’intero paese all’evento.
   








       











Le maschere di Ulà Tirso si spostano poi nella locale palestra per incontrare quelle provenienti dai paesi vicini.   Una ghiotta occasione per vedere come un medesimo evento è interpretato differentemente. Il mio Ipad impazza tra demoni, divinità, figuranti e musicanti, fotografi e abbondanti giri di un buon Canonau offerto gratuitamente a tutti gli astanti, me compreso. Nonostante gli effluvi di Bacco mi rendo conto che mi manca la mia infaticabile Canon! Un po’ di zoom ed un po’ di luminosità in più nelle foto mi avrebbero certamente aiutato ad avere immagini migliori!
  












Ed, infine, i gruppi cominciano a sfilare, iniziando la loro sarabanda sacrificale, in cui la divinità in catene viene violentemente colpita con dei grossi bastoni e poi finita al suolo.
   

















     
         Durante la manifestazione viene lanciato del grano che, a fronte delle apparenze truci delle maschere, vuole significare un augurio di prosperità, ed il canonau continua ad innaffiare le gole di  spettatori ed attori





E l’atmosfera si scalda ulteriormente. Il vino fa il suo effetto sciogliendo gli ultimi freni inibitori. Alcuni figuranti, infatti, hanno addosso dei fantocci che, non a caso, mimano figure femminili…ed il richiamo alla “fertilità”, per così dire, diventa esplicito.

Il pubblico femminile è poi, in maniera bonaria, preso di mira con degli scherzi.
     




Alcune maschere si distinguono, infine, per prove di forza ed abilità fisica arrampicandosi dovunque
 


   

   


E  così si arriva sino a sera quando, dopo una lunga cottura, viene consumato il cibo preparato durante tutto il  pomeriggio.

Rientriamo in serata dopo questa lunga ed emozionante giornata, contenti di aver visto cose che non avremmo mai pensato di vedere.



Domenica 14 febbraio

Lascio la mia stanza in base e mi avvio di prima mattina ad Elmas per un tranquillo viaggio di rientro a Torino via Roma. Sulla tratta Roma Torino mi attrae la maglia indossata dalla nazionale russa di pallanuoto.


Conclusioni

Cosa dire se non che questa splendida Isola è un patrimonio infinito di conoscenze e cultura. Spesso ci allontaniamo verso esotiche destinazioni, ma, in realtà, l’“America” ce l’abbiamo davvero a casa nostra.   Dove trovare una simile concentrazione di storia e di testimonianze architettoniche, dove un clima così mite, dove una cultura così omogenea e conservatasi in maniera così intellegibile ancorché proveniente dalla notte dei tempi?
C’è certamente da notare che, purtroppo, queste ricchezze non sono valorizzate a dovere dalle Autorità Competenti e, talvolta, purtroppo, dagli stessi Sardi che, spesso, non si rendono conto dell’immenso patrimonio storico ed ambientale in loro possesso.
Questo viaggio, inizialmente finalizzato all’ accrescimento della mia personale conoscenza di costumi e tradizioni, vorrebbe tradursi ora in un invito a coloro che hanno avuto la pazienza di leggermi, a vedere questa terra sotto una prospettiva diversa.
Lontana dalle frenesie turistiche della piena estate e dai suoi caotici  quanto vuoti riti, questa terra sa offrire molto di più di quello per la quale essa è normalmente conosciuta. Basta solo volerlo fare, proprio fuori stagione. Mettete a frutto l’esperienza che ho avuto la buona sorte di avere.
Una parola, infine, sul particolare periodo che la Base di Decimo sta attraversando. L’Amministrazione Difesa, infatti,  è oggetto di continui attacchi finalizzati alla completa cessazione di qualunque servitù militare sull’Isola. Il recente passato legato agli eventi dell’uranio impoverito di Perdas de fogu certamente ha il suo peso e va giustamente considerato. Ma rinunciare in toto alla presenza delle Forze Armate dalla Sardegna sarebbe un approccio preconcetto. Proprio quegli eventi che hanno cagionato una reazione così radicale, infatti,  ora, per Legge, non possono più ripresentarsi. Per cui  richiedere un ritiro incondizionato sarebbe un accanimento privo di ogni significato e realismo. Un passo che, invece di andare nella direzione di essere di beneficio per la popolazione, va, al contrario, a suo detrimento. Si pensi solo ai posti di lavoro ed all’indotto che la presenza di un grande  Ente Militare comporta sul territorio che lo ospita. Questo si è un dato incontrovertibile. Si può e si deve trovare, allora,  un punto di convergenza tra le esigenze dell’Amministrazione Difesa ed una saggia gestione delle realtà e delle risorse isolane.

Ringraziamenti

Il mio più sentito ringraziamento va a Maurizio che, con affettuosa amicizia, ha voluto mettere a mia disposizione le sue approfondite conoscenze e privilegiarmi del suo tempo libero.
Analogo ringraziamento va a Cristina, piacevole compagna durante la Sartiglia ed attenta e gentile ospite durante tutta  la mia permanenza in quel di Cagliari.
Ringrazio, infine, il Col  AArnn  NAV Mario Martorano, il quale, oltre ad essere stato un piacevole compagno d’avventura sabato 13 febbraio, mi ha consentito di poter respirare ancora dell’aria della base di Decimo e dei forti ricordi che essa evoca in me.
Raccomandazioni
Nel caso vogliate effettuare una visita in Sardegna nel periodo di Carnevale è necessario pianificare bene le date per avere la maggior scelta possibile degli eventi.
Raccomando per una buona pianificazione la consultazione dei sottonotati siti:
http://www.paradisola.it/sagre-sardegna/carnevale-sardegna
http://www.sardegnacultura.it/grandieventi/carnevale/
Se camminate per canyon, infine, non tenete la vostra macchina fotografica in mano. Cercate di tirarla fuori dalla custodia quando realmente serve. Non fate come il sottoscritto.! 


Se vuoi vedere altri miei viaggi vedi il link:




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